Proseguono con grande seguito di pubblico le serate del “Rock Music Circus di Silea”, nel corso delle quali il chitarrista Tolo Marton ripercorre all’insegna del rigore filologico e della massima reinvenzione creativa la grande storia del Rock. Lo scorso sabato, 3 settembre è stata la volta dell’omaggio ai “Ten Years After” e ai “Doors”.   Tolo Marton ha suonato accompagnato dai suoi musicisti: Andrea De Marchi alla batteria, Carlo Visentin e Andrea De Nardi alle tastiere, Cristiano Schiabello, Massimo Fantinelli al basso e dai cantanti Ren Ashfield per I Ten Years After e Joe Shamano per i Doors, tracciando un percorso sonoro in bilico tra psichedelia e rigore filologico dello spartito.

Ma soprattutto con quel senso dell’improvvisazione a tutto campo, che da sempre contraddistingue il suo stile, basato sul rigore e sullo stravolgimento consapevole, ma mai autocompiaciuto delle pentatoniche. Spesso dilatate oltre il limite delle convenzionali geometrie delle scale musicali. E’ su questa intensa alchimia sonora che Marton e  la sua Band hanno dunque proposto il meglio del repertorio  dei Ten Years After,  tra gli altri  brani:  “Love like a man”, “I Can’t keep on criyng sometimes”, volutamente rivisitati  sulle linee melodiche del brano dei Marton: “Back to my youth”  e I’m going home” , attraverso sonorità  sviluppate in un crescendo di toni  a tratti   morbidi e graffianti, spesso e non di meno   martellanti e fluttuanti,  tra gli intensi interventi vocali di Ren Ashfield e  l’equilibrato e fantasioso tappeto sonoro della band. Con degli esiti fortemente personalizzati, finalizzati a metabolizzare in chiave assolutamente innovativa i successi di Alvyn Lee e della sua band, celebre non di meno per “I’m Going Home “che fu inserita sia nel film Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica che nel live “Woodstock: Music from the Original Soundtrack and More”, consacrandoli definitivamente come gruppo rock di primo piano.

Una cosa che va assolutamente messa in risalto, per restare in tema con il Circo da Rock&Roll, è che Marton e i suoi più che da domatori si comportano da veri e propri funamboli della musica, prodigandosi in acrobazie, talvolta originali, talvolta canoniche, ma mai scontate.  E se la lotta tra il senso della misura da British Rock dei “Ten years after” si lascia gustare in un alternarsi di più meno improvvisati giochi creativi, il sound si dilata ancor più nella seconda parte della serata, dedicata ai Doors perché è a questo punto che l’armonia delle forme sonore, alternata al feeling di profondità degli assoli, lascia spazio aperto alla più pura reinvenzione musicale.

Non solo perché  il cantante dei Doors Jim Morrison era considerato, potenza del Rock business  dell’epoca oltre che della sua bellezza e del suo genio, l’incarnazione del dio greco  Dioniso, perché  i suoi spettacoli si trasformavano per il suo folle carisma in veri  rituali orgiastici, ma perché, la voce di Joe Shamano trova subito la giusta complicità tra Marton e il resto del gruppo, in una prospettiva in cui il tributo si  trasforma in un sound dal taglio personale e creativo nel senso più assoluto del termine.

E la voce di Joe Shamano entra da subito, (potenza del suo nome d’arte da trance ipnotica?)  nel vivo delle tonalità della voce di Jim Morrison, coinvolgendo con Marton e gli altri il pubblico in una pirotecnica sequenza di brani, in cui le corde vocali e quelle della chitarra giocano allo spasimo del loro potenziale espressivo. E tra “Riders on the Storm”, volutamente e a tratti ripresa e interrotta, come formula da rituale evocativo, scivolano tra visioni di superficie e di profondità “People are Strange”, “Love me two times”, “Light my fire e tutti i più celebri brani dei Doors. 

Per quanto è soprattutto “L. A. Woman” a trasmetterci il senso dell’ immaginario metropolitano caro alla musica e alla poetica dei Doors, con delle sinuosità sonore in cui Joe Shamano/Morrison fa rivivere al pubblico il senso del viaggio, concreto ed astratto, nel nome di una donna che, rimandando al mito consumistico e al tempo misticheggiante, diventa il simbolo sacro e profano di quelle città che già evocate da Kerouac e dalla tradizione beatnik , rimandano al mistero e alla possibilità di un’altra vita, a cui Morrison, cantante e poeta maledetto aspirava[1]. Prima che la sua vita finisse a soli ventisette anni a Parigi: “Mr. Mojo Risin’//Mr. Mojo Risin’//Mr. Mojo Risin’//Mr. Mojo Risin’//Got to keep on risin’…Ridin’, ridin’//oin’ ridin’, ridin’//Goin’ ridin’, ridin’//I got to ridin’,ridin’//Babe,ridin’,ridin’//I gotta, woo, yeah, ride, oh! Yeah[2].

Parole che sorrette dalle ipnotiche atmosfere della band e degli assoli liquidi e graffianti di Marton rimandano alle mille ipotesi sull’identità di questo “Mr. Mojo”, forse esplicita allusione ai genitali di Morrison, della cui esibizione venne accusato, durante il concerto di Miami il 1° marzo del 1969 e processato senza troppi incidenti probatori, con degli esiti che senz’altro contribuirono inevitabilmente ad un già più volte annunciato scioglimento del gruppo.

Ma la musica di Marton, non concede troppo spazio alle malinconie,  perché è subito la volta di “ The Cristal Ship”,  brano denso di poesia e di coloriture notoriamente degne del “Battello ebbro” del poeta francese Arthur  Rimbaud (che Morrison ha amato  insieme a molti altri scrittori e filosofi) , per arrivare a una “When the Music Over”,  ennesimo colpo di  frusta ad alto tasso energetico, in cui la voce straziante e  intensamente  diaframmatica di Joe Shamano ci porta, con il resto della band in un  eterno e psichedelico presente.

Il concerto è terminato, sul palco non sono comparsi caproni dionisiaci, né altre creature più o meno inquietanti e al tempo stesso figlie delle leggende e della retorica rockettara, Tolo Marton risale sul palco e accenna in vista dell’omaggio ai Beatles e agli Stones della sera successiva a “Let it be” e a “(I can get no) Satisfaction”.

Il pubblico comincia ad uscire, a presto Tolo, a presto Rock Music Circus, anche se l’aria è ancora intrisa della magia e della nostalgia dell’omaggio ai Doors, magari ricordando la bellissima poesia di Morrison: “Awake”: “Shake dreams from your hair /My pretty child, my sweet one//. Choose the day and choose the sign of your day//The day’s divinity//First thing you see.” [3]


[1] Qui si fa riferimento all’ ipotesi, ovviamente mai riscontrata, secondo la quale Morrison avrebbe inscenato la sua morte, per ricrearsi una vita lontano dalle luci della ribalta e del mondo del Rock. Per ulteriori informazioni cfr, J. Rochard: “Jim Morrison vivo! La nuova vita del re Lucertola”, Milano, Gamma libri, 1985, poi Blues Brothers, 2009. In seguito, “Caos” edizioni

[2]Signor Coso Magico che s’alza // Signor Coso Magico che s’alza//Signor Coso Magico che s’alza //Gli tocca continuare ad alzarsi…

[3]Scuotiti i sogni dai capelli Mia stupenda ragazza, mia cara… Scegli il giorno e scegli il segno del tuo giorno // La divinità del giorno // La prima cosa che vedi.

Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.

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