Prosegue con successo la manifestazione “The Rock Music Circus” presso il Parco della Serenissima (zona “Burger King” di Silea), che vede come protagonista oltre al Bluesman e Rocker trevigiano Tolo Marton, il leggendario batterista dei Deep Purple Ian Paice, e numerosi ospiti tra gli altri: Andrea De Marchi, Ren, Ashfield, Joe Shamano e Massimo Fantinelli, che guidati e  coordinati  dallo stesso Marton e dal critico musicale della “Nuova Venezia e Mestre” Michele Bugliari, si  sono alternati e si alterneranno dal 26 Agosto al 17 Settembre per ripercorrere attraverso brani in chiave tribute o riarrangiati il repertorio Rock di un’intera epoca a partire dagli anni ’50. Per toccare di seguito quello di Muddy Waters dei Doors, dei Rolling Stones e dei Beatles, di Jimi Hendrix e Rory Callagher, sino ai Led Zeppelin e gli Who. Passando per i classici “irrinuciabili” del Rock inglese ed americano e concludere con un omaggio ai Cream e ai Deep Purple.

E subito quello che si evince dalle prime due serate è che nonostante si parli di Circo, il repertorio scelto da Tolo Marton e dai suoi musicisti risulta tutt’altro, che addomesticato o incline ai facili manierismi musicali e di facciata. Come ci conferma lo stesso Marton, in questa intervista in cui ripercorre i momenti più significativi della sua carriera.

Tolo Marton durante una sua esibizione

La storia del Rock attraverso il tuo circo musicale è un omaggio a un genere di ampio respiro che spazia dal blues al melodico e alla fusion in senso lato…

Sì, io cerco da sempre di fare musica senza annoiarmi, in questa situazione del Circus delle serate da tema che in qualche modo rappresentano il mio piccolo grande mondo musicale. Stasera c’è il blues di Muddy Waters, ieri sera c’è stato un omaggio agli anni’50, però in mezzo a queste serate e questi titoli ci sono molte altre cose. Per cui non tradisco il mio modo di sentire, ieri abbiamo suonato Rock &Roll, ma c è stato anche il giusto spazio per le ballate. L’importante è variare.

E questo rientra diciamo nella tua anima “fusion”, mi viene in mente il progetto Guitar land del 75 in cui hai lavorato con Luciano Bottos, Stefano Scutari, Alberto Negrini e altri: avete tirato fuori delle  mescidanze musicali di grande impatto.

Quella è stata un’esperienza fatta solo con chitarristi, senza batteria, senza basso, qui invece c’è una grande energia, per fortuna ben poco meditativa rispetto a quella del ‘99. Ci troviamo decisamente in una fase più comunicativa e d’altra parte basta vedere l’allestimento. E le altre serate, che faremo dedicate ai Beatles, ai Rolling Stones ai Led Zeppelin e così via, sono tutte in bilico tra rispetto dei testi e degli spartiti, ma al tempo stesso improntate a un forte senso dell’improvvisazione. L’altra sera abbiamo suonato, rispettando al massimo le sonorità degli artisti proposti, nelle prossime serate non lo so… Non credo, non sempre per lo meno. Ed è questa la bellezza del Rock e del Blues, ti permettono di essere rigoroso e fedele allo spartito quando vuoi.  Oppure di personalizzarlo a tuo piacimento quanto senti di farlo. E all’ insegna di un’improvvisazione, che l’attuale musica ha ormai penalizzato da tempo.

Alternare insomma purismo e improvvisazione.

Beh, il purismo e la riproduzione fedele del brano rientrano nella mia prima giovinezza, erano gli anni ‘50, io c’ero e le cose si interpretavano nel modo più fedele possibile ai modelli americani ed inglesi, il successivo passaggio evolutivo, quello delle reinterpretazione, sarebbe arrivato di lì a poco, l’ho accolto con il sorriso sulle labbra, però io ho iniziato con la fedeltà alla riproduzione del brano. Perché in quell’ epoca andava di moda così.

Tu hai lavorato, nel ‘75, anche con le “Orme”, per l’album “Smogmagica”, cosa ricordi di quei momenti?

Andammo a Los Angeles, dopo che mi avevano messo sotto contratto, perché loro all’epoca erano ancora un trio e cercavano un chitarrista, e la cosa che ricordo con più piacere di quell’esperienza è di non avere fatto solo il chitarrista, ma anche di avere avuto, grazie a loro, la possibilità di comporre musica, io ero ancora molto giovane, e trovarmi tra le mani la possibilità di comporre è stato per me grandioso, anche se con la mia inesperienza di allora ho fatto quello che ho potuto. L’ esperienza di Los Angeles è stata molto importante, anche se è durata poco. Perché e qui si apre una parentesi per me triste, ma sono fatto così, le “Orme” mi chiesero di travestirmi da Arlecchino perché rientrava in un loro discorso coreografico, legato al genere Rock- Spy, legato ad una psichedelia, anche di evocatività cinematografica, che non era nelle mie corde. Ero giovane, però pensavo se io esco adesso dall’ anonimato vestito da Arlecchino, con le Orme che era un gruppo importantissimo, sicuramente sarò ricordato e sarà difficile togliersi questa etichetta. A questo si aggiungeva il mio profondo disagio, perché non mi è mai piaciuto vestirmi da carnevale, neanche da bambino. E così si è conclusa la nostra collaborazione.

Le Orme

(Le Orme, dall’Album: “Smogmagica”: “Los Angeles”)

(Le Orme, dall’Album: “Smogmagica”: “Amico di Ieri”)

Parliamo un attimo di Blues italiano, tu hai lavorato agli inizi anche con Guido Toffoletti, e altri grandi nomi che ne è secondo te di questo genere attualmente in Italia?

Io direi da Italiano che il Blues, al di là di tutta la retorica, anche commerciale, che c’ è stata e in parte c’è ancora, non è il nostro linguaggio, come non lo sarebbe il Rock & Roll, anche se poi siamo riusciti a dare un taglio complessivamente diciamo più personale che originale al tutto.  Credo però che la cosa più importante del Blues in sé sia nella capacità congenita di rinnovarsi, se noi andiamo ad ascoltare Muddy Waters e anche altri grandi bluesman prima di loro, si sente che ognuno di loro aveva un proprio stile, che risultava sempre un po’ più innovativo rispetto a quello prodotto che so dieci anni prima, e questo è sempre andato avanti così, anche nel Rock. Adesso invece secondo me ci sono delle standardizzazioni. Buona parte dei Bluesman che ascolto, hanno il culto della facciata- Blues, e non vanno molto più in là di standardizzazioni assolutamente ben fatte, ma non di meno scolastiche, penalizzando la vitalità intrinseca di questa musica. Questo vale tanto per il blues, quanti per il Rock dei Maneskin, che non fanno altro che riproporre il look e il sound di quello che si faceva nei primi anni ‘ 70. In quel periodo quelli erano però suoni nuovi, loro invece fanno manierismo musicale, conforme alle esigenze di svuotamento dei contenuti voluti dal mercato, che pensa solo alle vendite.

Nel Programma delle serate, il 3 settembre nel tuo Circo è previsto un omaggio ai Doors.  Cosa pensi che abbia ancora da dire un gruppo che è stato saccheggiato in tutti i modi possibili da Cover e Tribute band di ogni tipo?

I Doors hanno una freschezza di suoni e una profondità di parole che è ancora insuperata, quando suoniamo in un contesto come questo, ma non solo, suonando i loro brani, ma anche quelli di altri ci rendiamo conto che suoniamo in modo identico e al tempo stesso differente ogni sera. Insomma, a farla breve la musica tira fuori le nostre emozioni, il nostro feeling. Se si riesce a fare questo, anche se suoni pezzi di altri stai facendo musica. Sennò solo riproduzione seriale. Io mi sento un fantasista e perché no, anche un funambolo del Rock e del blues, ma un po’ di tutti gli sconfinamenti di genere che faccio da sempre in modo, più o meno felice, ma in ogni caso, per me gratificante.

La tua musica insomma

Beh, sì, assolutamente, per me la musica è un viaggio, posso girare a destra o a sinistra, a seconda delle esigenze del momento, ed è la stessa cosa quando si suona io posso decidere in un secondo dove andare, all’insegna di una spontaneità che non può non sorprendere prima me. E poi di riflesso il pubblico che viene ad ascoltarmi.

Cosa è che lega gli autori e le band che hai scelto nell’ ambito di queste serate?

Sicuramente il senso della circolarità, il cerchio che è il simbolo della compiutezza e della perfezione.  In merito a quest’ultima lascio il giudizio al pubblico, ma mi piace pensare che so ai binomi Beatles- Rolling Stones, Hendrix Callagher, Led Zeppelin Who, e a tutti gli altri come ad un grande tornado, o a un frullatore (richiamano il concetto del cerchio ndr) di note, immagini ed emozioni. Attraverso una musica che partendo dall’esecuzione originale dei brani, crea a sua volta originalità.

Tra gli altri grandi ospiti il batterista dei Deep Purple Ian Paice.

Sì, ho l’onore di collaborare con lui da molti anni ed è una gran bella persona oltre che un grande professionista, dal sound duro e duttile al tempo stesso.

Per concludere al termine di questo progetto inciderai un nuovo CD?

Sì è una cosa alla quale avevo iniziato a lavorare prima di questo progetto, si tratterà di un lavoro di ampio respiro, e sperimentale e improntato ad un senso della sorpresa creativa, ripeto che devo prima sorprendermi io, perché possa trasmettere la sorpresa delle emozioni della musica agli altri.

Tolo Marton

(“Question”)

Tolo con il Batterista dei Deep Purple Ian Paice

Red House” con Ian Paice

Tolo & Paice in: “Hygway Star

Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.

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