Ci sono diverse ragioni che mi portano a guardare il significato che può assumere la parola “cultura“.

Innanzitutto, c’è il fatto di essere veneziano e cioè nato e vissuto per tanto tempo in una delle città simbolo della cultura e delle sue manifestazioni nel mondo.

Dall’altra c’è l’aver avuto in passato, a livello politico e amministrativo, ruoli che esplicitamente avevano a che fare con questo settore della vita pubblica ed infine l’aver lavorato per più di 30 anni in una società che ha visto la cultura come elemento fondamentale delle proprie attività e del proprio business.

Credo di poter quindi, sulla base delle analisi e delle esperienze direttamente compiute, dire la mia.

Lo faccio infine per un’ultima ragione.

Ci si sta avvicinando ad una scadenza importantissima per l’Italia e cioè il voto delle elezioni politiche.

Bene, è evidente che si avverte la necessità di passare dall’esercizio del “gioco politico” (la composizione delle alleanze e delle liste) a quello della misurazione delle proposte, delle analisi, dei programmi previsti e da applicare nonché dei modi di intendere la società e il suo modo di porsi.

In questo quadro la cultura presenta evidentemente diversi aspetti.

Vanno sottolineati per dare un quadro d’insieme e non basarsi invece soltanto su considerazioni parziali.

Mi sento di definire così la cultura: elemento fondamentale per la crescita e per l’acquisizione di strumenti di vita e di comportamento a partire dalla conoscenza sviluppata nell’ambito scolastico e in quello dell’apprendimento quotidiano che in ciascuno di noi dovrebbe essere un obiettivo da perseguire.

In secondo luogo, la cultura è un momento del piacere della vita.

Soddisfa esigenze presenti nel concetto più generale legato allo “star bene“.

Consente di far crescere senza ansia e senza costrizione la propria autostima, la propria capacità di raggiungere la felicità, l’espressione delle curiosità che rendono il mondo significativo (mi si permetta questa definizione ottimistica che naturalmente ed ovviamente nasce dal mio modo di essere e di pensare).

In terzo luogo, la cultura è una chiave fondamentale di relazione tra i popoli perché è quel modo di leggere la realtà che consente di guardare al “diverso” come patrimonio da conoscere e non come paura da respingere.

La cultura permette di avvicinare mondi, idee, costumi, di renderne esplicite le differenze dandovi valore.

È l’unica arma ammessa liberamente nei rapporti che tra persona e persona si possono sviluppare.

La cultura consente di capire, di affrontare l’ignoto, di guardarsi senza paura, di cogliere anche quando dietro le parole e le azioni vi sia la malvagità e quindi consente di combatterla.

Queste sono le parti della cultura che vedo come diritto e dovere dell’uomo e della donna.

Una conseguenza, la cultura, del maturare divenendo persona, dell’avere umanità, del poter recitare un ruolo attivo e dare un contributo alla “societas”.

E questa è quindi la cultura che rientra nella sfera dei diritti, oserei dire delle necessità che vanno garantite ai popoli.

Queste caratteristiche della cultura sono la straordinaria dote che ci permette di leggere ed interpretare la “democrazia”, certamente il più difficile dei modi di amministrare la societas ma al contempo l’unico modo indubbiamente migliore.

È evidente che ogni affermazione sul fatto che con la “cultura” non si mangia, non si fanno affari, non si garantisce guadagno non è certo un limite o un problema nel momento in cui l’accezione della parola è quella qui dichiarata proprio perché appare condizione speciale e necessaria del vivere umano.

La cultura cioè si presenta come unica strada possibile nel vivere civile e nel confronto tra i diversi.

Ogni polemica quindi che voglia intraprendere una visione della cultura come non produttiva perché non garantisce reddito deve fare i conti con queste funzioni che abbiamo cercato di indicare.

Infatti, se la cultura costasse e quindi divenisse immediatamente negata a parti importanti dei popoli, essa diverrebbe assente nelle interrelazioni umane che proprio in questo momento storico sono così difficili ed ardue.

Tutto quanto abbiamo indicato chiarisce, spero, il valore della cultura.

Ma essa è solo questo?

Può essere anche interpretata in altri modi?

Può assumere ulteriori significati?

La risposta è sì, certamente.

Ma con un’unica precisazione e cioè che i temi che cercheremo ora di indicare non possono essere sostitutivi o alternativi a ciò che abbiamo fin qui indicato.

Nella società di cui facciamo parte la cultura è diventata anche una componente fondamentale dell’economia.

È in questo quadro che va collocata la dimensione “redditiva” della cultura.

Una dimensione parametrabile quindi ad altri momenti dell’economia della vita di un Paese.

Quali sono quindi questi valori economici?

Il primo e fondamentale è un valore apparentemente etereo ed impalpabile ma fortissimo nelle conseguenze che genera.

La cultura cambia, modifica, accentua, chiarisce, determina, annuncia, nega l’immaginario collettivo di un sito, di un luogo, di una dimensione urbana o territoriale.

Si chiama economia dell’immaginario collettivo perché la cultura in questo quadro può contribuire in toto o in parte a rendere attrattivo un sito, a modificarne il senso comune, a mantenere la sua concezione nella memoria, a determinare il desiderio di conoscere, di vedere, di capire luoghi e realtà.

L’Expo ha modificato l’immaginario collettivo di Milano, il Carnevale ha modificato l’immaginario collettivo di Venezia d’inverno.

E ciò non vale solo per i grandi centri urbani, noti o di abituale frequenza.

La cultura modifica l’immaginario collettivo anche di un piccolo sito, rendendolo non solo con il suo nome ma come il Paese di…, il Comune di….

Determina quindi l’immagine che diventa il minimo comune denominatore di una comprensione della realtà.

Capire come tutto ciò sia uno straordinario valore economico non è difficile.

E nei casi citati è sotto l’occhio di tutti.

Un secondo straordinario valore economico che la cultura ha è quello che assume in sé stessa, nel suo essere e nel suo manifestarsi: l’economia diretta della cultura.

Teatri, festival, enti lirici, rassegne spettacolari, premi letterari, mostre, parchi archeologici, musei, centri storici antichi, progetti architettonici innovativi e di straordinaria levatura (ed altre situazioni certamente sono state qui dimenticate) sono tutti punti della vita della cultura che hanno la caratteristica di avere una propria precisa economia.

E quest’economia si sviluppa generando reddito e occupazione.

È un’economia che ha come base di fondo la conservazione del bene antico o contemporaneo e la capacità di tramandarlo sia che esso sia materiale sia che esso sia virtuale.

Mille sono i lavori che vengono generati: dalla catalogazione al restauro, dalla diagnostica alle assicurazioni, dalla movimentazione delle opere alla loro pulizia, dalla biglietteria alla gestione del bookshop, dalla presenza dei ricercatori a quella degli attori, dei registi, degli scenografi e di tutti coloro che operano nei diversi gangli dello spettacolo, dei beni culturali e delle forme della ricerca.

Una delle fondamentali definizioni che nei beni culturali è andata via via maturando è quella che dice che un museo o un parco archeologico ha 3 obiettivi irrinunciabili: conservare le opere, valorizzare le opere stesse facendole conoscere e capire, mantenere alto il profilo continuo della ricerca scientifica sul patrimonio.

La gestione quindi dei beni culturali e spettacolari è un’economia diffusissima che ha un proprio modus vivendi e spesso presenta anche profonde contraddizioni.

Contraddizioni che nascono dalla dimensione dei luoghi, dal loro interesse mediatico, dalla quantità delle visite del pubblico e così via.

La terza parte dell’economia della cultura è quella che genera un indotto da tutti conosciuto: l’economia del turismo.

La cultura ha qui entrambi gli aspetti che abbiamo precedentemente descritto: quello virtuale dell’immaginario collettivo e quello materiale dell’offerta che viene data ai visitatori.

È chiaro quindi che la cultura è fondamentale sia nella determinazione delle scelte di viaggio e di permanenza che nelle attività che in tale viaggio e in tale permanenza vengono realizzate.

Si sceglie di andare in un luogo per l’immaginario che ha e si vogliono vedere o si vuole partecipare alla vita dei beni di quel luogo sulla spinta, ancora una volta, dell’immaginario che il sito trattiene in sé.

L’indotto turistico è di grandissima rilevanza, costituisce parte significativa del PIL di diversi paesi, presuppone la vita di ogni tipo di esercizio ricettivo alberghiero o extra alberghiero.

È fondamentale per le attività commerciali e di pubblico esercizio e determina intere categorie di lavoratori che abbiamo ritrovato precedentemente.

Il turismo può avere anche aspetti di pericolosità se non è regolato, amministrato e determinato per quanto possibile e necessario.

Molte città ormai soffrono di eccessi del turismo ed il vero problema che nasce non è quello del dover “reggere l’urto” delle masse che arrivano e sostano quanto piuttosto quello della trasformazione radicale che il turismo eccessivo comporta nel sistema di vita di una città dal punto di vista edilizio, commerciale, patrimoniale nonché amministrativo.

È però indubbiamente un’economia, quella turistica, ove la cultura recita in diversi modi un ruolo fondamentale.

Vi è una quarta dimensione economica della cultura che si è affacciata da non molti anni al nostro interesse e che ritengo importante, innovativa e particolarmente significativa in quanto “collante” con altre e diverse forme dell’economia di un Paese.

La cultura è il valore aggiunto che viene dato alla merce trasformandola in qualcosa di più importante del solo scopo che ha, la merce medesima.

La cultura soddisfa negli oggetti la tendenza dei pensieri e la determina, la cultura aggiunge valore alla semplicità con la bellezza, la particolarità, i richiami, il pensiero.

La cultura arricchisce e trasforma un valore d’uso in un valore pregiato di scambio.

E l’Italia è la patria di questa economia della cultura.

Si chiama Made in Italy e consente di apprezzare il valore di ciò che produciamo, consente di determinare la scelta di un prodotto per il suo valore estetico, storico, culturale e comporta la ricerca di un determinato oggetto non affidandosi solo alla banalità del suo significato acquisito.

La cultura permette a parte dell’economia italiana di non essere competitiva per il solo prezzo o per la qualità dei materiali ma anche per il significato simbolico che viene immediatamente raccolto dall’utenza e diventa generatore di un pensiero più vasto.

Il Made in Italy diventa quindi chiave di comprensione del prodotto italiano in generale: la cultura cioè permette di espandere il valore dalla singolarità alla pluralità dei prodotti.

Automobili, oggetti da cucina, penne, vini, il Made in Italy sempre di più diviene non solo valore aggiunto ma valore insito negli schemi produttivi: vi è un esempio che lo scandisce in maniera precisa, quello del vino.

L’enologo interviene nella realizzazione del vino esaltandone le qualità, i sapori, gli odori, i richiami che esso esprime.

Quindi interviene già nella elaborazione della materia prima.

Poi gli altri esperti definiscono l’etichetta con i legami al prodotto, ai luoghi o alla storia, danno dimensione colore e forma alla bottiglia e preparano la comunicazione con gli eventi, i legami con specifiche scadenze e così via.

Quest’esempio del vino rende esplicito come pensiero e comunicazione siano un tutt’uno nel concetto di Made in Italy.

Potremmo definire tutto ciò come la cultura del prodotto.

Infine, tornando quasi all’inizio ma ancor restando nella concezione economica vale la pena citare come la Cultura Italiana sia stata e sia una straordinaria e continua memoria visiva, uditiva, tattile del nostro Paese presente fuori dal nostro Paese: la potremmo definire economia dell’immagine identitaria dell’Italia.

I musei stranieri che posseggono le opere dei nostri artisti, i teatri che riecheggiano la musica italiana sono, ad esempio, portavoce quotidiani della nostra esistenza e del nostro valore.

Se qualcuno può avere dubbi a volte legittimi sulla percezione che all’estero si può avere della nostra classe politica, imprenditoriale, amministrativa, bene, deve sapere che al fine la persona con cui stiamo interloquendo ci parlerà sempre con grande fascino di quello che la cultura italiana ha espresso e di come questa sia l’immagine che dell’Italia ha.

Tutto quanto è stato fin qui detto ha cercato di esprimere il valore della cultura come straordinario diritto dovere e come grande opportunità per il Paese e per la sua economia.

Ecco perché le risposte che le forze politiche e quelle imprenditoriali daranno anche su singoli aspetti, luoghi e situazioni, saranno sempre di grande importanza.

Spero maggiormente leggibili attraverso i pensieri che ho cercato di rendere espliciti e di riordinare.

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

4 COMMENTS

  1. Bella,interessante riflessione che mi trova totalmente D’accordo. Mi è però venuta in mente una frase detta da Berlusconi,non ricordo quanti anni fa:Con la cultura non si mangia. Questa frase sintetizza il pensiero di certa destra e chiude ogni speranza.

  2. Bella riflessione che presuppone un interesse popolare per la cultura. Questo interesse è a sua volta frutto di una cultura appunto popolare diffusa, coltivata per anni a partire dalle generazioni più giovani. Io vedo in giro un interesse per la moda generata dalla cultura e la disattenzione per il lavoro ostinato e oscuro. A tutti i livelli e questo penso sia lo stile del nuovo fascismo con il sorriso fatto di gare sportive e Masterchef.

  3. Un eloquente ed esauriente panorama di tutti gli aspetti del discorso e risponde anche pragmaticamente alla domanda assai inafferrabile “a cosa servono le arti?”
    Ti indico un’antologia di recente pubblicazione sullo stesso tema: a cura di Alberta Arthurs e Michael F. DiNiscia, Are the Arts Essential?, New York University Press, New York, 2022. 331 pagine e 25 saggi.
    Grazie per un bella lettura. Philip

  4. Condivido l’analisi articolata e profonda del bene “Cultura”. Estremizzando il termine si può dire che tutto è Cultura. “Cultura è costume, è comportamento, è patrimonio comune. È anche scelta consapevole di valorizzare ideali e realtà concrete. È condividere sensibilità e coscienza collettiva. La Cultura è un bene primario, un indispensabile motore della storia. È la costruzione del futuro sulle tracce di un patrimonio comune reso fecondo dalle speranze e dai progetti dei cittadini: stare bene insieme, incontrare altri pensieri e altri sguardi, condividere problemi e alleviare sofferenze coltivando benessere, felicità, cittadinanza e forse anche sogni…”

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