La banana è una bacca, non un frutto, immigrata da paesi stranieri. E frigo-conservata durante il tragitto a 13 gradi.

Quindi di modeste qualità organolettiche, non fosse per la vitamina B6 e per un aiuto contro la stitichezza. Di potassio ne possiede meno di quello che si pensi e la buccia, se fumata, non dà effetti lisergici.

Saranno state queste sue, semplici, proprietà ad aver ispirato qualche amico friulano, popolo di solito molto serio, ad organizzare una festa con le mangiatrici di banane, che non sono le scimmie, per le quali la banana non è per nulla fondamentale nella dieta, ma donne.

E’ un’iniziativa degna di riflessione.

Vibra della stessa energia che giunge, grazie ai venti romagnoli, dal Papeete Beach, anche se “papete” in dialetto indica gli omogeneizzati per i bambini o i vecchi.

È anche sorprendente perché, in un torrido agosto come questo, anziché organizzare una convention di mangiatrici di cocomeri e meloni, che farebbe molto “padroni a casa nostra”, si rivoluzionano le abitudini appellandosi alla banana, cioè all’immigrata.

Questa ventata di novità si collega a quella formidabile ricorrenza che è la festa degli uomini, che non significa niente ma, proprio per questo, si continua a celebrare.

E la si associa perché, misteriosamente, la banana è freudianamente riconducibile all’appendice pubica maschile. Infatti, nei supermercati l’esposizione delle banane è protetta alla vista dei minori.

Non subiscono, misteriosamente, tale sorte le melanzane lunghe, i cetrioli, le carote, persino il porro, con un po’ di fantasia.  Solo le banane perché, essere gialle, avere una buccia e qualche macchia di annerimento sembrano essere condizioni sufficienti per la “pisellabilità”, cioè l’assonanza con l’appendice di cui sopra.

Non siamo, evidentemente, fatti tutti nello stesso modo e, da questo punto di osservazione, forse si capisce la forza suggestiva delle banane presenti sul mercato nella versione maxi (platano), normale (buccia gialla) e mini (bananine).

Ma queste sono considerazioni sul lato maschile, quello degli organizzatori della festa degli uomini con star-guest le mangiatrici di banane. È un lato, tutti possono comprenderlo, non di goliardia ma di vacuità infantile, da “papete” appunto.

Quello che sarebbe interessante scoprire è il lato femminile della faccenda.

Come mai possano esistere donne che si prestino a questa baggianata.

O come mai una folta schiera di donne, con un deciso senso di dignità di sé e del loro corpo, non abbia invaso la sede della festa degli uomini e abbia proposto un uso alternativo della banana.

In fin dei conti il corpo comunica con l’esterno mediante diverse discontinuità e la banana potrebbe associarsi ad altre entrate oltre quelle della bocca.

Le orecchie e il naso, per esempio.

Sugli organizzatori, ben s’intende.

Così la prossima festa degli uomini potrebbe essere più sensata.

Soprattutto più civile.

Fulvio Ervas
Fulvio è nato nell’entroterra veneziano qualche decina di anni fa. Ha gli occhi molto azzurri e li usa davvero per guardare: ama le particelle elementari, i frutti selvatici e tutti gli animali. Si laurea in Scienze Agrarie con un’inquietante tesi sulla “Salvaguardia della mucca Burlina”. Insegna scienze naturali e nelle ore libere tre campi magnetici lo contendono: i funghi da cercare, l’orto da coltivare, le storie da raccontare. Nel 1999 ha vinto il premio Calvino ex aequo con Paola Mastrocoda. Da allora ha pubblicato moltissimi libri tra i quali “Tu non tacere”, “Follia docente”, “Nonnitudine”, gli otto che hanno per protagonista l’ispettore Stucky da cui è stato tratto il film “Finché c’è prosecco c’è speranza” interpretato da Giuseppe Battiston e “Se ti abbraccio non aver paura” che ha vinto numerosi premi ed ha ispirato, nel 2019, il film di Gabriele Salvatores “Tutto il mio folle amore”.