Referendum n.1 – Abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.

Lo scopo è di abrogare la legge Severino per la quale chi è stato condannato in via definitiva con pena superiore a due anni di reclusione per delitto non colposo non può svolgere funzioni di rappresentante di governo, non può candidarsi né essere eletto alla funzione legislativa e decade dalle funzioni in corso.

La norma si applica anche agli amministratori regionali, ai sindaci e ad altri amministratori locali condannati in via definitiva per gravi reati o per reati commessi con abuso di potere o violazione di doveri; questi ultimi soggetti sono sospesi dalla funzione se per gli stessi reati sono stati condannati in via non definitiva.

Chi vota Sì vuole la cancellazione dell’intera legge e dunque accetta che i cittadini italiani siano rappresentati da chi è stato condannato con sentenza passata in giudicato per gravi o gravissimi reati.

Chi vota No vuole mantenere l’attuale divieto (che vale per almeno 6 anni). La legge Severino attua il principio costituzionale dell’art. 54, secondo il quale chi svolge funzioni pubbliche deve adempierle con disciplina ed onore. Il mantenimento della legge può essere sfavorevole verso chi è sospeso (al massimo per 18 mesi) a seguito di una condanna non definitiva, ma la richiesta dei promotori del referendum avrebbe potuto essere limitata alla cancellazione del solo articolo che prevede la sospensione: chiedere la cancellazione integrale della legge dimostra la volontà di garantire inaccettabili prerogative nell’esercizio di funzioni pubbliche a favore di chi si è macchiato di gravi reati. In Italia qualunque cittadino che abbia precedenti penali non può accedere ad alcun concorso pubblico per impieghi civili o militari: per quali ragioni dovrebbe essere consentito a chi aspira a ricoprire o ricopre alte funzioni rappresentative?

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Referendum n. 2 – Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di applicazione di misure cautelari in presenza di esigenze cautelari derivanti dal pericolo di reiterazione di reato della stessa specie di quello per cui si procede.

Prevede la cancellazione di una delle tre condizioni (pericolo di reiterazione di reato della stessa specie di quello per cui si procede senza uso di armi o di violenza) in presenza della quale, per esigenze cautelari, il giudice può applicare una misura.

Con l’abrogazione di questa parte dell’art. 274 c.p.p. il giudice non potrà applicare nessuna delle misure cautelari previste dalla legge, sia che si tratti di misure detentive (custodia in carcere, arresti domiciliari), sia che si tratti di misure non detentive (obbligo di allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, obbligo o divieto di soggiorno, obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria ecc.), sia che si tratti di misure prescrittive o interdittive (es. divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali o professionali)

Chi vota Sì vuole ridurre i casi in cui è consentita l’applicazione di una qualunque misura cautelare, limitandola alle sole ipotesi di pericolo di inquinamento della prova o di pericolo di fuga.

Chi vota No vuole mantenere la legge così com’è: eliminarne questa parte della norma pregiudicherebbe la sicurezza dei cittadini; impedirebbe la difesa delle vittime nei casi di reati come lo stalking, la pornografia minorile o i maltrattamenti in famiglia, dove la misura cautelare non detentiva depotenzia la ripetizione del reato; permetterebbe la ripetizione di reati abituali e seriali come i reati contro il patrimonio (es. furto in abitazione) o il traffico di stupefacenti.

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Referendum n. 3 – Separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati.

I magistrati possono svolgere funzioni di pubblico ministero o di giudice in forza del principio costituzionale di cui all’art. 104 che stabilisce l’unicità dell’ordine della magistratura, autonomo e indipendente da ogni altro potere.  Il quesito prevede la cancellazione della norma che consente il passaggio dalla funzione giudicante alla funzione requirente e viceversa nel corso della carriera.

Chi vota Sì vuole che la funzione di PM o di giudice sia svolta nell’intera vita professionale, dall’inizio della carriera, senza possibilità di alcun passaggio dall’una all’altra.

Chi vota No vuole consentire che rimanga la possibilità di scelta per il magistrato durante la vita professionale. Va ricordato che oggi esiste già una separazione delle funzioni in magistratura, con possibilità di fare 4 passaggi, ma solo in presenza di rigorose condizioni (occorre cambiare Regione o distretto, non si può scegliere se non si sono svolti almeno 5 anni di servizio nella funzione che si sta svolgendo). Il referendum, per esplicito proposito dei promotori, vuole essere il primo passaggio per arrivare alla separazione delle carriere, peraltro impedita dalla Costituzione repubblicana.

Il rischio è di creare una figura di Pubblico Ministero sganciata dalla cultura che ha in comune con il giudice, dove entrambi sono oggi obbligati ad accertare la verità del fatto storico e il P.M. ha anche l’obbligo di valutare le prove a favore dell’imputato oltre che quelle a suo carico; il rischio è trasformare il PM in un organo accusatorio dal carattere poliziesco, con grave pregiudizio per le garanzie dell’indagato/imputato. Mantenere la possibilità di cambiare consente a giudice e a PM di svolgere le funzioni conoscendo i diversi ruoli e utilizzando il bagaglio delle esperienze fatte nell’una o nell’altra funzione. Va ricordato che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha raccomandato già dal 2000 l’esempio italiano come modello da imitare: i passaggi delle funzioni, dice, sono espressione di garanzia per tutti i cittadini.

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Referendum n. 4 – Partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte.

Si chiede che sulla valutazione professionale del magistrato si possa esprimere con il voto anche la componente laica del Consiglio Giudiziario, formata da professori universitari e da avvocati. Questa possibilità è già prevista dal disegno di legge Cartabia (approvato alla Camera dei deputati e in procinto di passare al Senato), ma solo a mezzo il consiglio dell’ordine a cui siano stati segnalati comportamenti del magistrato della cui valutazione si tratta.

In ogni caso va detto che, anche riconoscendo il diritto di voto ai membri laici, la decisione finale sulla valutazione del magistrato spetta solo al Consiglio Superiore della Magistratura.

Chi vota Sì vuole che sulla valutazione dei magistrati decidano con il voto anche i membri laici (avvocati e professori universitari).

Chi vota chi vota No vuole mantenere la sola previsione del parere espresso dai membri laici, senza possibilità per questi di votare.

Se vincesse il SI’ si potrebbero creare situazioni di conflitto (soprattutto tra avvocati e magistrati che operano nei distretti piccoli-medi) laddove l’avvocato, membro del Consiglio Giudiziario, fosse chiamato ad esprimere con il voto la sua valutazione su un magistrato che fosse contestualmente giudice in una vertenza in cui l’avvocato rappresenta un proprio assistito. Condizionamenti e influenze reciproche impedirebbero l’obiettiva valutazione professionale del magistrato.

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Referendum n. 5 – Abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.

Per le norme attuali un magistrato che voglia essere eletto al CSM deve presentare la propria candidatura sorretto da una lista formata da almeno 25 firme di presentatori. I promotori del referendum vogliono eliminare questo sbarramento per favorire la singola candidatura, senza appoggi.

Anche l’oggetto di questo quesito è contemplato dal disegno di legge Cartabia, in via di approvazione al Parlamento.

Chi vota Sì vuole eliminare l’obbligo per il magistrato di presentare una lista di firme di appoggio per consentire così a chiunque di candidarsi singolarmente.

Chi vota No vuole mantenere il principio della presenza di una lista.

La scomparsa della lista, sostituita dalla singola candidatura, impedirebbe di considerare quest’ultima come espressione di rappresentanza di un orientamento culturale e politico: se il principio della rappresentanza viene realizzato con presentazione di candidature tramite i partiti politici nell’elezione alle cariche pubbliche, per quale motivo si vorrebbe sottrarlo alla magistratura? Va però segnalata l’inutilità di questo quesito: impedire la presentazione con una lista al candidato al CSM non comporta alcun cambiamento poiché il candidato deve essere votato ed eletto e dunque sarà con il voto, non con la presentazione della candidatura, che si verificheranno – del tutto normalmente – gli appoggi al candidato (oggi occorrono 500 voti per eleggere un giudice, 1000 voti per eleggere un PM, 2000 voti per leggere un magistrato di legittimità).

Le denominazioni sintetiche ed i quesiti dei cinque referendum stampati sulle schede sono tratti da: Governo italiano  Ministero dell’Interno

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