Mi presento: sono Ellie.

Una donna trentenne innamorata di Mattia. Ci siamo conosciuti in un sito che accoglie chi si interessa di racconti.

A me piace scrivere, a Mattia leggere.

Mi aveva scritto in privato facendomi i complimenti. Era stato colpito dalla mia capacità di immedesimarmi nelle vicende che narravo.

Mi aveva fatto molto piacere, perché alla fine noi autori viviamo per essere letti e, quando le nostre fantasie raggiungono il cuore dei lettori, siamo contenti. Non c’è cosa che soddisfi di più, neppure l’essere pagati per le nostre scritture.

Come dicevo, ci siamo conosciuti sul web, ma il nostro rapporto prese piede molto velocemente, diventando così intenso, che mai, neppure nella vita vera, avevo provato un’attrazione così forte.

Inizialmente erano timide le e-mail di Mattia, poi pian piano gli argomenti di cui parlavamo diventarono più interessanti e io arrivai ad apprezzare non solo la sua cultura, ma anche la sensibilità nel parlare di certi temi. Presto il nostro discorrere toccò ogni ambito, era un argomentare a 360 gradi e a ogni mia domanda, lui aveva una risposta. Le sue riflessioni erano profonde ed ero rimasta stupita dalla sua preparazione, nonostante fosse più giovane di me.

La nostra confidenza si era spinta al punto che eravamo arrivati a parlare, sempre via e-mail, di tutto, come buoni amici, non solo di letteratura, ma anche di: musica, politica, cucina o tutto ciò che ci passava per la testa. Un giorno ci mettemmo a parlare di rapporti omosessuali e in particolare di quelli saffici. Forse voleva provocarmi per tastare la mia apertura mentale. Come punta sul vivo, dissi risoluta:

«No, non li condivido. Cioè, non è che li condanno, ma non fanno per me. Un rapporto saffico, ma per carità, manco mi passerebbe per la testa!»

Mattia mi rispose:

«Dio, come sei chiusa, piena di pregiudizi!»

Risi alle sue parole, senza dargli peso.

Come dicevo all’inizio, il rapporto era diventato molto intenso, ma niente che debordasse oltre la massima simpatia e rispetto era uscito dalla bocca di Mattia. Io però volevo di più. Ne sentivo il bisogno. Mi attirava come una calamita. Sapevo della sua timidezza e quindi osai per prima, dandogli il mio numero di telefono.

Quel giorno non successe niente. Ogni volta che squillava il cellulare, avevo i battiti del cuore a mille. Pensavo fosse Mattia, invece nulla.

La sera ero un po’ arrabbiata e un po’ delusa, ma nei nostri successivi colloqui, naturalmente per corrispondenza, non glielo feci mai capire. Non volevo.

Mattia però mi aveva letta nel pensiero. Una volta mi disse di immaginarmi lì, insieme, seduta accanto a lui, sul suo letto.

Per quell’immagine, la mia testa partì. Non avevo più freni inibitori. Gli dissi:

«Io ti sto baciando!» Mi raffreddò, pregandomi di fare la brava, perché certi desideri potevano costarmi cari, molto cari.

Alla mia risposta: «Sono disposta a tutto.», Mattia si limitò a dirmi che, se fossi stata lì, mi avrebbe semplicemente tenuta stretta tra le braccia come una cosa preziosa.

Il giorno dopo diradò le e-mail e non si collegò con me la sera, come era solito fare.

Rimasi scombussolata, confusa. Proprio non riuscivo a comprenderne il motivo. Orgogliosa e ferita, non gli scrissi nemmeno io. Si era insinuata tra noi una barriera di silenzio incomprensibile che mi feriva. Percepivo che anche da parte sua si respirava un’atmosfera simile, altrettanto fastidiosa, imbarazzante e comunque immotivata.

«Forse sarà sposato,» mi dissi «o ammalato, o che cavolo ne so… ma lui me lo deve dire. Non può interrompere un rapporto così intenso in questo modo codardo.»

Vero è che non ci eravamo promessi nulla, ma era evidente che stavamo bene insieme. Inoltre, Mattia mi aveva detto che viveva da solo, questo non me l’ero proprio sognato, e non stava più con nessuna da un bel po’ di tempo.

Dopo tre giorni di ansia, il telefono si decise a squillare.

Risposi distratta, non mi aspettavo più una sua chiamata, e invece:

«Pronto!»

«Ciao Ellie, sono Mattia.»

«Ciao Mattia. Ma che sorpresa!» dissi emozionata.

Parlammo un po’. Frasi di circostanza.

Gli dissi:

«Che vocina! Si sente che sei più giovane di me.» Aveva una tonalità sottile, simile a quella, aggraziata, del fruttivendolo afghano che conoscevo.

Rispose che lui non andava fiero della sua voce. Non diedi importanza a questo piccolo particolare, nemmeno al velo di dispiacere che accompagnava la sua ammissione.

Non è facile che una persona mi faccia stare bene. Con Mattia, invece, andava tutto a meraviglia. Come vivessi in un altro mondo e non parlo di quello virtuale. Mi trattava con delicatezza. Mi faceva ridere. La sua attenzione, anche se immateriale, gli apprezzamenti, i complimenti, gli scherzi, le battute per prendermi in giro con simpatia, mi facevano vivere in un altrove tutto nostro. Non avevo mai creduto di provare emozioni così forti davanti a una tastiera e a uno schermo dove scorrevano soltanto parole. Era come se vivessi in un continente magico, come se i pensieri nella mia testa creassero uno specchio in cui vedevo riflesso il suo volto.

Un giorno gli dissi:

«Ti amo.»

«Esagerata!»  mi rispose.

«Si sì, io ti amo!» ripetei ancora più convinta e, dopo un po’ di esitazione, lo sentii ripetere le stesse parole. Ero felice.

Virtualmente avevamo fatto di tutto, attraverso parole bollenti: aveva potuto leggere i miei gemiti mentre godevo, immaginandolo dentro me. Avevo sentito le sue urla liberatorie mentre fantasticava di farmi sua.

Non sono una, però, che vive un rapporto a metà. Sono per “o tutto, o niente!”

Gli avevo detto, senza remore, che volevo vederlo.

Mi rispose che il nostro rapporto era molto bello così perché non lo caricavamo con i problemi della vita. Era incontaminato.

«Viviamolo così, non roviniamolo, Ellie», mi disse lui, per convincermi.

Non replicai, ma dentro di me avevo già deciso che sarei andato a trovarlo. Virtualmente non mi bastava più. Volevo vedere concretizzato il mio sogno, almeno capire se era anche il nostro.

Impossibilitata a muovermi a causa del lavoro, per qualche tempo non tornai più sul discorso. Comunque, ogni volta gli dicevo che non vedevo l’ora di incontrarlo e lui ogni volta mi scoraggiava: avremmo rovinato tutto.

Lo prendevo in giro dicendogli:

«Sei paranoico!», battuta alla quale Mattia rispondeva solo con una risata timida che mi faceva impazzire.

***

Infine, arrivarono le vacanze natalizie. Avevo tre settimane piene da utilizzare.

Potevo realizzare il mio (e forse il nostro) sogno, concretizzarlo. Vedere Mattia, toccarlo, abbracciarlo.

Mi informai sui voli e i biglietti. Mattia viveva al sud e io al nord d’Italia, molto lontani quindi, e l’aereo era il mezzo più veloce per raggiungerlo. Non glielo dissi subito. Volevo fargli una sorpresa. Trovai una promozione conveniente e, palpitando, feci il biglietto di andata e ritorno.

In quel momento ero pronta. Chiamai subito Mattia per telefono e gli anticipai:

«Tra tre giorni arrivo da te. Ho già preso il biglietto aereo. Per Natale ti farò un regalo: ME!»

Mi aspettavo entusiasmo, mi aspettavo emozione, mi aspettavo il fuoco, ma nulla successe di tutto questo. Lui, freddo, mi disse che non intendeva vedermi e che io non avrei dovuto fare il biglietto, senza prima avergliene parlato. Ero spaesata. All’inizio non lo presi sul serio, ma quando capii che non era uno scherzo, il mio equilibrio interiore crollò di colpo, la sicurezza e la fiducia nel nostro rapporto andarono in frantumi.

Chiusi la comunicazione senza salutare e cominciai a piangere. Mi sentivo tradita, delusa, mi sentivo ingenua, una stupida che rincorre un’infatuazione pericolosa.

Mi dissi:

«Ellie, era tutta un’illusione, un bel giochino perverso da parte sua. Non prova nulla. Complimenti cara mia! Hai vinto la gara della più stupida e sprovveduta ragazza del secolo! Adesso riprenditi ed esci dal tuo guscio. È ora di aprire bene gli occhi, di crescere.»

 

Confesso che mi mancava tanto, le risate per telefono, la voglia matta che sentivamo entrambi, le sue urla quando godeva mi echeggiavano ancora nella testa e io cercavo inutilmente di scacciarle.

Mi chiusi in casa.

Per il Natale mia mamma mi pensava da lui e non avevo voglia di dirle che era andato tutto a rotoli, non sapevo come spiegarglielo, non avrebbe capito, non avrebbe approvato un rapporto nato da una conoscenza in internet. L’avrei fatta preoccupare. Si sarebbe spaventata.

Con aria misteriosa, a suo tempo le avevo mentito, raccontandole che avrei fatto una breve vacanza con un collega di lavoro, e che prima o poi glielo avrei presentato.

Quel Natale è stato il più triste della mia vita. Isolata da tutto. Quanto sentivo la mancanza di Mattia! Forse voi che mi leggete, non mi crederete, o penserete che io sia una sballata. Penserete esagerato e improbabile che una persona stia male per qualcosa che vive solo nella sua testa, e può darsi abbiate ragione, ma io in questa cosa ci credevo profondamente, ci avevo investito tutto: non solo la testa, ma il cuore, l’anima.

Era mezzanotte del 24 e cominciava il giorno di Natale più insignificante e insopportabile. Dalla finestra osservavo il movimento ciclico delle luci nelle luminarie accese, ma mi parevano sideralmente distanti, estranee, inutili. Mi ritirai in camera. Mi preparai una camomilla.  Volevo dormire e basta.

Il telefono squillò. Lo presi svogliatamente.

Sarà l’ennesimo augurio di qualche amica ritardataria o la mamma che vuole sapere se mi diverto qui dove sono, pensai.

Se sapesse che sono a casa, non me lo perdonerebbe.

«Pronto?»

«Ciao Ellie! Volevo farti gli auguri!»

La voce di Mattia arrivò forte e mi vibrò nelle orecchie.

«Che vuoi, Mattia? Raccogliere il tuo ultimo trofeo? Vuoi vedermi strisciare ai tuoi piedi?» Risposi amareggiata.

«No! volevo solo augurarti Buon Natale e assicurarmi che tu stia bene.»

«Ora che hai la coscienza a posto, puoi anche riattaccare.»

«Mi dici dove sei?»

«A casa mia. Altre domande?»

«Con chi?»

«Da sola. Nessuno sa che sono qui. Pensano che sia in Sicilia e che me la stia spassando.»

«Mi dispiace tanto.»

«Non ho bisogno della tua pietà.»

«Tu non capisci!»

«Cosa non capisco? Che una persona dietro a una tastiera può giocare facilmente con i sentimenti altrui? Hai ragione: non lo capisco!»

«Ellie, io…»

«Mattia, adesso non ho voglia di sentire parlare di te. Nella mia testa non ci sei solo tu… non tutto gira intorno a te… adesso devo pensare a me, quindi smettila con quel: io… io… Non sei tu il centro dell’universo.»

«Ellie, capisco di averti ferita, ma non era questo che volevo. Io ti amo! Il mio sentimento è sincero.»

«Certo, caro!»

La mia risata sarcastica sbatté contro i muri della stanza, così terribilmente vuota.

«Ellie? Devo dirti una cosa… mi è difficile… Avrei voluto non dirtelo mai. Avrei voluto starti sempre accanto nel virtuale, pur soffrendo la tua mancanza fisica… Mi hai riempito le giornate, mi hai colmato d’amore…»

Da me il silenzio.

«Ellie, io non sono un uomo. Sono una donna.»

Disse le sue ultime parole tutte d’un fiato, come se volesse liberarsi di un peso che la stava schiacciando.

E se fino a quel momento mi stavo muovendo su e giù nervosamente, poi sentii le gambe cedere. Mi buttai sul letto. Incredula di ciò che sentivo, le chiesi di ripetermelo.

«Si, sono una donna. Adesso puoi anche chiudere e non devi prendertela con te, ma con me. Vivi serena.»

La sua voce cominciò a tremare.

Io cominciai a piangere.

Stavamo in silenzio al telefono, come due persone che si aggrappano al vuoto, ma che il vuoto non può di certo sostenere.

«Mi dici chi sei? Almeno come ti chiami?»  dissi dopo un silenzio interminabile che graffiava i nervi.

«Sono Mattia. Mattia è il mio nome. Dalle nostre parti è un nome anche femminile.»

«Mattia, posso chiamarti io tra un po’? Devo riprendermi…»

«Certo Ellie… E scusa tanto.»

Dopo un po’ la richiamai.

«Perché lo hai fatto? Perché ti sei presentato come uomo?»

«Perché io non voglio essere donna. Non mi piaccio come donna e almeno nella rete virtuale posso essere ciò che voglio. Non avevo premeditato nulla di ciò che è accaduto. La situazione con te è precipitata e.… e mi sono innamorata di te…»

«Tu sei folle.»

Di nuovo silenzio che interruppe di nuovo:

«Volevo dirtelo credimi, ma non sapevo come fare. Stavo per dirtelo già la prima volta che ci siamo sentiti al telefono, quando mi hai parlato della mia voce sottile… speravo avresti capito tutto… volevo che capissi tutto… tu però non hai afferrato… io non avevo coraggio di dirtelo.»

Mi tenni la testa con le mani. Mi stava scoppiando. I pensieri dentro stavano facendo a botte. Volevo fermarli.

Di nuovo la sua voce:

«Alla fine, qui dentro ero me stesso: un uomo, insomma un maschio. Con te riuscivo a vedermi per ciò che desidero essere… e mi accettavo…»

«Mattia, io non mi capacito» Dissi tra lacrime «Io… io non ti ci vedo donna.»

«Non lo sono. Nella mia testa non lo sono. Nel mio corpo lo sono a metà. Non mi sono mai accettata. Nemmeno da piccola. Ti prego, cerca di capirmi.»

«Ora vorrei averti qui. Non so che mi succede. Vorrei abbracciarti. Ti odio per le tue bugie, stronza! Ma ti desidero. Non so più…Vorrei toccarti, uscire dalla confusione che ora ho in testa. Fissarti in ciò che sei realmente… così non mi capacito.»

«Finiremmo per far l’amore. Bacerei ogni millimetro del tuo corpo. Te lo accenderei per poi spegnerlo nel mio.»

«Smettila!»

«Scusa.»

«Abbracciami, ti prego. Stringimi al tuo petto. Stringimi forte. Fatti sentire. Fatti toccare con la mano. Io vorrei toccarti per convincermi che sei una donna.»

«Sicura?»

«Si» risposi decisa.

«Eccomi.»

Per la prima volta, una sua foto apparve sullo schermo del mio smartphone: vidi un petto strettamente fasciato.

Mandai giù altre lacrime come se con esse volessi cancellare i dubbi.

Di nuovo silenzio.

«Mattia, io ti amo!»

Glielo dissi per l’ennesima volta.

«Sicura?»

«Sicurissima!»

«E tutti quei discorsi che facevi sulle lesbiche?»

«Sono andata oltre. Ho conosciuto la persona.»

«Per tutto questo tempo ho vissuto con il terrore che mi avresti accusata di averti presa in giro… mi sentivo in colpa… non volevo che lo scoprissi così… A dire la verità non volevo proprio che tu lo scoprissi, ma era inevitabile.»

«Già…»
«Ellie, vuoi ancora venire a trovarmi?»

«Dici sul serio?»

«Certo. Non ci saranno altre sorprese. Adesso sei libera di decidere, consapevole di ciò che ti aspetta.»

Vidi la luce dell’alba che stava allargando l’orizzonte, spazzando via la notte.

«Cerco un treno e ti raggiungo» risposi.

«Per il ritorno posso usare sempre l’aereo. Il biglietto è ancora valido.»

Volai sui piedi, verso la stazione.

Adesso sono qui in treno per raggiungere Mattia. Sono arrivata a destinazione.

Io credo di amarlo. Sì, sono sicura di amarlo.

 

 

 

Un pensiero contro l’omofobia e contro ogni forma di discriminazione. 

Erida Petriti
Erida Petriti è nata in Albania, dove ha vissuto fino al compimento dei 22 anni. Vive in Italia dal 1997. Amante della lettura e della scrittura, entrambe terapeutiche per rompere la monotonia di tutti i giorni, gli schemi e i tabù che portiamo dentro. Lettrice ad alta voce del gruppo “Quante Storie!”. Scrittrice di diversi racconti, alcuni dei quali sono stati premiati in vari concorsi e pubblicati nelle relative antologie. Nel 2022 sono usciti i suoi primi libri “Nel muro. La leggenda della sorgente lattea di Rozafa” edito dalla casa editrice Balena Gobba e “Riflessa in uno specchio rotto” edito dalla casa editrice PAV Edizioni.

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