Lo scorso 1° marzo presso l’“Auditorium del Centro Sociale” di Mogliano Veneto ha preso il via, su iniziativa della locale Associazione culturale “Omega aps”, la rassegna di conferenze dal titolo: “Passato per il presente, Mogliano incontra la Storia”. Ad aprire la serie di incontri, che prevede interventi di illustri storici e ricercatori[1] è stata Michela Ponzani storica, autrice e conduttrice televisiva di programmi culturali per Rai Storia. come: “Il Tempo e la storia”, “La mia passione” e più di recente “Clio, il filo della storia”. L’autrice, non di meno nota per la pubblicazione di saggi come “Senza fare di necessità virtù”, “Figli del nemico, le relazioni d’ amore in tempo di guerra”, “Donne di Roma” ha presentato, previa premessa introduttiva dallo storico Daniele Ceschin e della moderatrice Emanuela Niero, il libro: “Guerra alle donne” edito da Einaudi qualche anno fa, ma come si desume dal titolo (in bilico tra il diritto alla lotta per fare valere i propri diritti e al rischio che questa comporta) di grande attualità. In quanto le esperienze delle donne, protagoniste dell’ultimo conflitto mondiale risultano nella loro drammaticità quanto meno speculari a quelle successivamente vissute nel conflitto dell’ex Jugoslavia degli anni ’90 sino all’ odierno conflitto, anche se ancora in divenire, tra Russia e Ucraina.
Un libro, dunque, che come emerso nel corso della conferenza, riannoda i fili della memoria e del rimosso attraverso delle storie che nella loro frammentarietà, compongono, grazie allo spessore narrativo della Ponzani, un mosaico dalle coloriture intense, a tratti nitide, spesso inevitabilmente cupe, ma che conquistano i lettori perché hanno la possibilità di conoscere la storia delle donne in guerra “dal basso”. Infatti, viene dato spazio a voci femminili che altrimenti sarebbero rimaste anonime, nel loro essere state testimoni se non mute, sicuramente dalla voce flebile, per via delle loro lontananze dalla politica e dalla cultura. In quanto donne del popolo.
E proprio per questo, le lettere riportate nel libro, tendono ad assumere, senza nulla togliere all’aspetto documentario, una dimensione affabulatoria e dalla forte carica umana. Col risultato di descriverci donne che entrano in conflitto con il sistema nazifascista, dopo averlo vissuto, e non necessariamente, almeno nella fase inziale, subito, perché più o meno ingenuamente inclini a credere nei suoi valori, salvo poi trasgredirli, perché oppresse e costrette a portare avanti una guerra privata, finalizzata, oltre che dalla liberazione dai Tedeschi e dai fascisti della Repubblica sociale, dai pregiudizi discriminatori della cultura maschile. Donne, dunque, alle prese con una scelta difficile, costrette ad elaborare al di là di ogni facile retorica reducista e post- bellica una propria strategia di sopravvivenza, tra l’abbandono dei mariti, costretti ad andare a combattere al fronte, agli stupri individuali o di gruppo. Capitolo quest’ ultimo doloroso e spesso soppiantato, a partire dal primo dopoguerra, dal ben più digeribile mito collettivo dell’eroina e della madre. Tutte testimonianze che desunte dal Fondo RAI La mia guerra, conservato presso L’ INSMLI (Istituto Nazionale per la storia Movimento di Liberazione in Italia) di Milano, incidono sul piano dell’ inconscio individuale e collettivo, e non di meno sulle sue rimozioni, riportando alla luce verità scomode, non ultima che queste donne ribelli, divengono vittime dell’accanimento dei repubblichini, non solo perché “nemiche” in grado di fornire loro informazioni, ma per “perché degne di essere punite, in quanto artefici di una scelta che le aveva portate ad abbandonare il ruolo di passività sociale a loro tradizionalmente assegnato. Da quello di casalinghe a quello di detenute, il cui destino salvo morire, era quello di divenire delle Kapò (altro drammatico capitolo oggetto di ricerca e revisione storica) o delle Military comfort Women, ovvero donne costrette a prostituirsi per l’esercito.
La scelta della ribellione partigiana era ovviamente solo una delle possibilità di “salvezza”, possibilità, molto pericolosa, perché, puntualizza la Ponzani citando Nuto Revelli: “Combattendo sbagliavamo, scappando sbagliavamo… noi sbagliavamo sempre”, nella misura in cui il popolo, anche se simpatizzante e/o sostenitore, guardava ai movimenti di liberazione comunque con sospetto e paura.
Così come risulta non meno interessante il capitolo “Marocchinate”, dedicato agli stupri perpetrati nel basso Lazio da parte di milizie per l’appunto indiane e marocchine nei confronti di donne e bambine, cosa che nella sua aberrazione induce non di meno a far riflettere anche sulla scelta fatta all’epoca da alcune donne di diventare “amanti del nemico”, scelta dettata dalle contingenze, ma non di meno dalla rivalutazione individuale di figure maschili, caratterizzate, senza volere assolutamente scadere nella retorica del “nazista benevolo”, da una lor personale umanità, pur appartenendo ad un diverso schieramento militare. Ma non di meno è stato possibile, durante la conferenza comprendere che, il melting pot di violenze e abusi era talmente elevato ed ignorato dagli Americani, che il popolo italiano aveva finito addirittura per rivalutare “Le disposizioni autoritarie del governo di Salò”, che mirando a garantire in nome dell’identità nazionale e della razza, tutelava per quanto poteva e gli conveniva le donne.
Per concludere una conferenza che, non di meno in vista dell’8 marzo, merita di essere sintetizzata, tra i numerosi riferimenti alla letteratura e al cinema emersi nel corso del dibattito, con una intensa e sempre attuale poesia di Amelia Rosselli:
Contiamo infiniti cadaveri. Siamo l’ultima specie umana.
Siamo il cadavere che flotta putrefatto su della sua passione!
La calma non mi nutriva il solleone era il mio desiderio.
Il mio pio desiderio era di vincere la battaglia, il male,
la tristezza, le fandonie, l’incoscienza, la pluralità
dei mali le fandonie le incoscienze le somministrazioni
d’ogni male, d’ogni bene, d’ogni battaglia, d’ogni dovere
d’ogni fandonia: la crudeltà a parte il gioco riposto attraverso
il filtro dell’incoscienza. Amore, amore che cadi e giaci
supino la tua stella è la mia dimora.
Caduta sulla linea di battaglia. La bontà era un ritornello
che non mi fregava ma ero fregata da essa!
La linea della demarcazione tra poveri e ricchi.