La biografia antifascista di Erminio Ferretto (1915-1945) – di cui oggi ricorre il 77° anniversario della morte – è, per certi versi, esemplare. Lo è per essere stato non solo un partigiano combattente, ma per essere arrivato alla lotta di Liberazione attraverso un percorso lineare di antifascismo militante, fin da quando, appena ventenne, la sua opposizione al regime lo portò ad emigrare in Francia. Una breve parentesi prima di accorrere in Spagna nel 1937 e di arruolarsi come volontario nelle Brigate Internazionali nella guerra contro Francisco Franco. Un’esperienza che condivise con altri 4.000 italiani e che gli consentì non solo di maturare dal punto di vista politico, con la piena adesione al partito comunista, ma anche di imparare le tecniche della guerriglia. Un particolare non irrilevante se si pensa che questo gli consentirà, qualche anno più tardi, di arrivare alla Resistenza da “fratello maggiore”, con una preparazione militare di tutto rispetto, e di ricoprire ruoli di comando e di responsabilità.

Dopo la resa della Repubblica spagnola e il rientro in Francia, Ferretto venne arrestato e portato a Gurs, ai piedi dei Pirenei, in quello che inizialmente doveva essere semplicemente un centro di accoglienza per i reduci dalla Spagna, ma che ben presto diventò il più terribile campo di internamento per prigionieri politici. Una vicenda sulla quale in tempi recenti la storiografia ha gettato finalmente uno sguardo e ricostruito le condizioni materiali di migliaia di detenuti. Tra il 1940 e il 1941, con l’occupazione della Francia, la maggior parte degli internati italiani, poco meno di un migliaio, vennero consegnati alle autorità italiane, processati e incarcerati o avviati al confino.

E così nel giugno del 1941 Ferretto giunse a Ventotene, l’isola in cui erano confinati quasi 900 antifascisti, tra gli altri delle figure di prima grandezza come Umberto Terracini, Luigi Longo, Pietro Secchia, Camilla Ravera, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Sandro Pertini, Riccardo Bauer. Tra l’altro in quegli anni, e fino alla caduta del regime, il direttore della colonia era un certo Marcello Guida, salvato dall’amnistia Togliatti nel 1946, poi a lungo funzionario di polizia e infine questore di Milano nel 1969, nei giorni della strage di Piazza Fontana e della morte di Giuseppe Pinelli. E infatti rimase celebre il rifiuto di Pertini, allora presidente della Camera, di stringergli la mano al suo arrivo a Milano.

Il confino di Ventotene rappresentò per Ferretto un’altra formidabile palestra di antifascismo, prima della liberazione nell’agosto del 1943, del primo arresto nel febbraio del 1944, dell’organizzazione delle prime bande partigiane tra il Bellunese e l’Alto Trevigiano e del contributo alla nascita di formazioni importanti come le brigate Mazzini e Tollot, operative nella zona tra Valdobbiadene e Vittorio Veneto. In quella fase Ferretto divenne per tutti “El Venezian” e diede vita al battaglione Mestre. Il rastrellamento del Cansiglio, all’inizio del settembre del 1944, costrinse lui e il suo gruppo a riguadagnare la pianura e ad operare nella zona tra Roncade, Quarto d’Altino e Mestre, dando quindi vita al battaglione Felisati, di cui proprio Ferretto divenne commissario politico.

Sulle circostanze della sua morte, avvenuta la notte tra il 5 e 6 febbraio 1945 ad opera delle Brigate Nere fasciste, conosciamo ormai molti dettagli. Ma è utile riportare anche uno stralcio di un documento poco noto, la relazione che parroco di Bonisiolo, don Ermenegildo Menegazzo, inviò alla diocesi di Treviso nell’agosto del 1945: “Nella Casa di Pavan Ferdinando il 6 febbraio avvennero i seguenti fatti: vivevano da alcuni giorni in tal casa alcuni partigiani Comunisti […]. Questa venne circondata di assedio e dopo sparatorie di circa mezz’ora venne violentemente aperta. Un partigiano venne scovato subito ed arrestato – un altro riuscì a fuggire e ferito gravemente riuscì a trascinarsi fino a Marcon in una casa. Altri tre ebbero salva la vita nascondendosi nei pagliericci dei letti della famiglia, dove non furono scoperti […]. Un altro, il capo, certo Ferretto Erminio di Giuseppe da Carpenedo di Mestre, che (si seppe più tardi) combatté in Spagna con i Comunisti contro l’esercito di Franco, fu ucciso sotto la mangiatoia degli animali, dove aveva cercato di nascondersi. La mattina del sei le salme furono rimosse dalle Autorità Comunali e deposte nella cella mortuaria del Cimitero locale dove furono sepolte il 10-II-1945 senza funerale. Il parroco però ha celebrato per le loro anime una ufficiatura e benedì le salme prima della loro tumulazione” (Pro-Memoria dei fatti dolorosi avvenuti nella parr. di Bonisiolo di Mogliano V. (Treviso) dal Nov. 1944 all’aprile 1945 durante la dominazione nazi-fascista”).

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.