La COP26 è fallita. O meglio, è fallita se pensavamo il suo scopo fosse quello di limitare le emissioni climalteranti abbastanza da scongiurare conseguenze catastrofiche. Per raggiungere questo scopo, i governi avrebbero dovuto coordinarsi per azioni emergenziali, anche più incisive di quelle messe in campo per fronteggiare la pandemia.

Da un altro punto di vista può invece essersi rivelata un successo: dal punto di vista dei capi di stato, per esempio. Loro sì hanno raggiunto i loro obiettivi: tranquillizzare tutti quei cittadini (leggasi: potenziali elettori) che iniziavano ad essere un po’ preoccupati che la crisi climatica potesse diventare un pericolo per la propria vita; e, allo stesso tempo, tranquillizzare i pilastri del potere dei loro governi, cioè le multinazionali dei combustibili fossili, delle automobili e dell’agribusiness, assicurando che le loro attività non verranno in alcun modo compromesse.

Secondo l’agenzia internazionale dell’energia, non è stata un fallimento totale: considerando tutti gli obiettivi, i piani, le promesse e le speranze presentate in questi giorni, sembra possibile contenere il riscaldamento entro gli 1.8°C.

Però è evidente serva un’esagerata dose di ottimismo per credere che tutti questi impegni verranno rispettati (basti considerare la ridicola promessa di Bolsonaro di porre fine alla deforestazione illegale entro il 2028, quando l’Amazzonia sta venendo distrutta sempre più velocemente negli ultimi 3 anni…)

Il fatto è che finché non vi sarà una fortissima mobilitazione dal basso, i governi continueranno a prenderci in giro.

Del resto, è evidente che l’essere umano non sia come tutti gli altri esseri viventi: la sua priorità non è la sopravvivenza della specie, anzi spesso è l’opposto. Lo hanno spiegato molto chiaramente Stefano Mancuso e, recentemente, George Monbiot sul Guardian. Infatti per noi è estremamente difficile comprendere a fondo la gravità della situazione attuale, per una questione temporale: dovremmo renderci conto che gli effetti (positivi o negativi) di quello che faremo da qui al 2030 non si concretizzeranno appieno nell’immediato, ma nei 10, 20 anni successivi. Cioè possiamo agire ora e solo ora per salvarci la vita nel 2050. Non avremo una seconda possibilità. Alla maggior parte delle persone sembra qualcosa di incomprensibile, ma dovremmo fare questo sforzo. Altrimenti saremo la prima specie della storia ad aver agito attivamente per la propria estinzione.

Per riflettere su come noi moglianesi possiamo fare la nostra parte, invitiamo tutte le associazioni (e i cittadini interessati) a partecipare alla riunione di domenica 21 novembre: si terrà presso la sede del quartiere Est, dalle ore 15:00.

Maggiori informazioni: https://www.fffxrmoglianoveneto.it/

Samuele Campello (Ribelli all'Estinzione-Mogliano)
Mi chiamo Samuele, ho 20 anni, vivo a Mogliano e sto frequentando la facoltà di ingegneria per l’ambiente a Padova. Ho frequentato il liceo scientifico G. Berto. Da un anno sono attivista nel gruppo Fridays For Future e “Ribelliamoci all'estinzione” Mogliano. Ho iniziato alla scuola media ad informarmi su alcuni problemi ambientali, ma oggi ho capito come essere informati non sia più sufficiente; per me infatti l’attivismo è l’unico mezzo per alleviare la mia frustrazione per la spregiudicata distruzione della natura e l’incertezza del futuro.

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