“Ciò che manca alla musica rispetto ai tempi in cui  Demetrio Stratos e io suonavamo è il senso di collettività e spontanea condivisione tra gli artisti, si suonava insieme perché ci credevamo veramente” -così Eugenio Finardi inizia il racconto della sua esperienza con il cantante degli “Area” e prosegue- l’ho conosciuto nel 1972 presso la sede della Numero 1, l’etichetta discografica indipendente di Battisti e Mogol, in cui le giovani promesse della musica dell’ epoca  incidevano i loro primi 33 giri.  Lui veniva da “I ribelli”, io avevo venti anni e abbiamo fatto subito amicizia sia perché eravamo un po’ gli stranieri del gruppo, lui greco io italo-americano, ma soprattutto perché avevamo entrambi una passione, da parte mia mai venuta meno, per il Soul, il Blues ed il Rhythm’ Blues.

Eugenio Finardi e Demetrio Stratos negli anni ‘70

 

Per me Demetrio è stato da subito un po’ il “fratellone”, con il quale passare bene il tempo tra una registrazione e l’altra, vivevamo in un’Italia molto diversa da quella di oggi, da un lato molto chiusa, provinciale e tribale, dall’altro molto più omogenea. Si girava in 500 e in vespa e noi eravamo quelli della “cultura alternativa”.

Ovvero?

È stato lui a portarmi da Gianni Sassi, alla “Cramps” e a darmi in un certo senso la possibilità di acquisire una nuova coscienza politica. Personalmente prima della sinistra sapevo poco o niente a parte il Vietnam, mio padre era un giolittiano, molto conservatore, che guardava in modo più o meno sospettoso i cambiamenti di quegli anni, e per me: Demetrio, gli “Area” e un po’ tutta l’aria che si respirava alla Cramps è stata una grande occasione di crescita da tutti i punti di vista.

Come vedi a distanza di anni il modo di cantare di Demetrio?

Demetrio conquistava tutti con la sua vocalità estrema e la sua anima Blues, quella a cui, come accennavo prima, non so ancora rinunciare, è stata per me un vero e proprio alter ego creativo, è stato anche al nostro continuo scambio di idee che è nato l’Album “ Rock & Roll Exibition” in cui lui condivideva il palco, oltre che con Mauro Pagani  al violino e all’ armonica e Paolo Tofani alla chitarra, con i mei musicisti di allora: Stefano Cerri e Paolo Donnarumma al basso e Walter  Calloni alla batteria. Ma anche, al di là di questo, penso che mi abbia lasciato qualcosa grazie alla quale tutt’ora ho la possibilità di ascoltarmi e autoascoltarmi, quando analizzo la mia voce nei suoi punti di forza e nei suoi limiti.

Brani:  “Mean Women Blues”; “Boom Boon”; “Barefootin

Tu hai avuto l’occasione di cantare con gli Area: “Gioia e Rivoluzione”, in occasione della Festa del 1° Maggio del 2011 quindi in un certo senso di prendere sia pur per breve tempo “il suo posto” all’interno del gruppo riaggregatosi per l’occasione

Per me quello è stato un momento unico e imbarazzante al tempo stesso, io sono abbastanza consapevole delle mie doti canore, ma misurarmi con la voce di Demetrio è stato, oltre che impegnativo, qualcosa di onorevole e al tempo stesso vertiginoso. Forse labirintico (ride e aggiunge), lui faceva delle ricerche e produceva con le sue diplofonie dei suoni che tuttora mi disorientano e mi affascinano al tempo stesso.

Sì, la sua voce aveva davvero qualcosa di sacro ed ancestrale, i suoi concerti erano sicuramente un momento di liberatoria terapia collettiva.  Perché questo è il senso più autentico del canto e della musica, liberare l’uomo dal male e dalle oppressioni. Demetrio incarnava tutto questo. Al punto che quando si ammalò, non io, che sono un razionalista-materialista, ma alcuni miei amici tra gli altri Claudio Rocchi e Paolo Tofani, che erano più vicini alla frangia misticheggiante del movimento, incolparono le ricerche fatte da Demetrio nell’ ambito della musica   tibetana e di certa tradizione misterica.

Come mai?

Perché certe pratiche richiedono una forte preparazione spirituale, forse hanno esagerato, ma non senza cognizione di causa, per quel poco che pur so in materia di meditazione legata all’ Oriente in specie.

Cosa Ricordi del Concerto per Demetrio del ‘79?

Purtroppo, la coincidenza tra la sua morte e la fine del movimento. Un punto di arrivo e di svolta rispetto ad una situazione che era nell’ aria da tempo. Se ci pensi bene le cose non finiscono quasi mai in maniera tranchant, sono sempre un punto di arrivo e di svolta, sono un lento declino che è iniziato nel ‘77 con i movimenti dell’autonomia padovana. Anche con il Punk se vuoi. E poi si sono sfaldate da sé per erosioni e compressioni pregresse. Per il resto ricordo Sassi e tutti gli altri che eravamo distrutti. Da questo momento in poi ci sono stati cambiamenti di pagine e scenari talmente grandi che ci vorrebbe un’altra intervista.

Bontà tua concedercela. Grazie Eugenio e Buon Lavoro!

Grazie a voi!

Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.

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