Claudio Lolli in un Concerto degli anni’ 70

Parlare di cantautori in un momento storico come questo, dove predominano sempre di più le leggi del mercato discografico e del già sentito, purchè vendibile ormai soprattutto in rete, e del più sfrontato riuso di stilemi e di forme poetiche e musicali, non è affatto semplice.

E non solo perché i Guccini, i De Andrè, i Vecchioni e molti altri vengono considerati, da una buona parte del pubblico giovanile “ormai del secolo scorso”, o perché ciò che contano al momento sono solo l’hip hop, Il rap il trap, che spesso riciclano il “già ascoltato” di tutti i generi, riproponendolo comunque in una chiave interessante, e con una energia assolutamente se non nuova, quanto meno caratterizzata da una propria “personalità” interpretativa, spesso anche di qualità. Ma per il fatto che i cambi generazionali, producono, non di meno sul piano estetico, delle trasformazioni, destinate se non ad accantonare, quanto meno a ridimensionare fortemente quegli artisti che hanno segnato con la loro voce e la loro musica la seconda metà del ‘900.

Se questo sembra essere un po’ il destino di tutti i grandi nomi della canzone d’ autore italiana, quale potrebbe essere quello di un cantautore come Claudio Lolli, che, scomparso il 17 Agosto di tre anni fa, ha avuto un percorso assolutamente coerente con i suoi ideali di sinistra, andando controcorrente rispetto a tutte le trasformazioni culturali, di costume e assolutamente camaleontiche che il movimento del ’68 ha subito nel corso del tempo?

La Targa “Tenco” conferitagli solo nel 2018, anno antecedente alla sua morte per il suo CD “ Il grande Freddo”, quale miglior disco dell’ anno, ci indurrebbe a pensare che il suo essere stato assolutamente coerente con i valori di una sinistra, che nel frattempo si era adeguata ai tempi e alla “modernità” in senso lato, non gli  abbia portato troppa fortuna, e che, l’avere fermato i suoi orologi umani esistenziali e resistenziali al ‘68,  non poteva che  portare alla sua immagine di uomo e di artista, a  non più di  qualche gloria, per di più raggiunta all’ insegna, secondo qualcuno,  del “per lui è stato anche troppo”.

Forse però è proprio in momenti di disorientamento sociale, politico, esistenziale come questo che stiamo vivendo, che figure come quella di Lolli, ritornano, ammesso e non concesso che mai se ne siano andate, a fare parlare di sé, rivelando tutto il proprio spessore artistico e umano, proprio in virtù di quell’essersi voluto sedere, brechtianamente parlando, “dalla parte del torto”, e di quel suo avere voluto sempre aprire,  da poeta,  la propria finestra, non curandosi troppo o affatto di quelli che sicuramente gli volevano e gli vogliono bene, ma che  la consideravano e la considerano, anche più di quanto egli stesso di suo non ammettesse, “una finestra sbagliata”.

È questo uno sbaglio “imperdonabile” e comunque destinato a non andare oltre la compassionevole comprensione verso chi come lui non ha voluto rassegnarsi alle “magnifiche sorti e progressive”[1], che già Leopardi, peraltro amatissimo da Lolli, aveva stigmatizzato ne: “La Ginestra”, nei confronti delle trasformazioni spesso tutt’altro che edificanti della civiltà del progresso e dell’omologazione?

Premesso che è difficile rispondere, una possibile e più che autobiografica conferma della coerenza di Lolli è certo riscontrabile in una sua vecchia canzone, nella quale confessava con assoluta sincerità: “Non ho mai avuto un alfabeto tranquillo, servile/le pagine le giravo sempre con il fuoco./Nessun maestro è stato mai talmente bravo/da respirare il mio ossigeno e il mio gioco” (“Analfabetizzazione”, dall’Album: “Disoccupate le strade dai sogni”, L’Ultima Spiaggia, 1977)[2].

Album per l’appunto successivo al grande successo di: “Ho visto anche degli zingari felici”, (pubblicato l’anno precedente, sempre con la EMI, per di più al prezzo imposto di 3500 Lire, presto considerato al di là della coerenza politica e del mito delle autoriduzioni proletarie un “suicidio” commerciale dagli stessi operatori della Major discografica). Una forma di “autolesionismo” alla quale però Lolli non ha mai evidentemente voluto rinunciare, in nome di una fede politica, che di li a poco sarebbe diventata, nella sua assolutezza, sempre più solo sua e di pochi altri.

Dal momento che non solo con: “Disoccupate le strade dai sogni” era passato ad un’etichetta indipendente, come “L’Ultima Spiaggia” (fondata nel 74 da Ricky Gianco, Nanni Ricordi e Gianfranco Manfredi), ma addirittura polemizzava con la EMI stessa e con certi intellettuali, pronti solo a sostenerla e a tenere in piedi un certo tipo di rapporti sociali.

Lo faceva più precisamente in: “Autobiografia industriale” (Il cui ascolto si consiglia caldamente a chi non lo avesse per caso ancora fatto), della quale merita di essere citato almeno il seguente passo: “Io a quei tempi, stavo ancora aspettando Godot, cioè aspettavo la morte per potere dire rinascerò//fatto diverso collegato all’ amore alle masse//più cultura più lotta di classe//ma Godot, non è mai arrivato, si fa le cose sue//ed è meglio così certo per tutti e due…”.

“Disoccupate le strade dai sogni” era un album destinato a sparire in fretta dal mercato, come la sua etichetta discografica, che sarebbe fallita da lì a poco, ma resta un lavoro talmente ricco di ricerca musicale e di contenuti, oltre che politici, poetici, al punto che è in grado se non di dare punti quanto, meno di competere ex aequo   con” Stanze di vita quotidiana” di Francesco Guccini.  Nella misura in cui, se questo può essere considerato, e non a torto, per via della sua struttura “Talking” una pietra miliare per i rapper made in Italy, “Disoccupate le strade dai sogni” presenta non di meno una profonda patina politico- esistenziale e una lucidità poetica, con dei guizzi musicali “progressive” (che fanno di Lolli un cantautore capace di andare molto al di là del repertorio dei tre o quattro accordi cantautorali stricto sensu).  Un disco che costituisce pertanto un punto di svolta, sia rispetto al panorama proprio della canzone d’ autore dell’epoca, che da quello della successiva evoluzione musicale di Lolli, uno dei primi tra i suoi colleghi a proporre con il tour di: “Ho visto anche degli zingari felici” un personale percorso di ricerca musicale intriso di atmosfere jazz e latino-americane.

Il  suo successivo viaggio  artistico è stato  non di meno caratterizzato  da una  più che deandreiana “direzione ostinata e contraria”, che lo ha portato a delle scelte sempre più sperimentali e costantemente giocate tra  canzone, poesia e ricerca musicale, tutta improntata ad un inquietudine militante, ma anche artisticamente parlando avanguardista, non solo in  una  prospettiva mitteleuropea ( Brecht e Kurt Weil) o anche  etno-jazz, ma in una pluralità di direzioni che, comprensive di una non meno prolifica produzione letteraria, anche narrativa (ricordiamo tra i suoi numerosi libri la raccolta di Racconti: “Giochi crudeli”, Milano, Feltrinelli, 1992 con prefazione di Francesco Guccini), lo avrebbe portato con la passione, il disincanto e l’ ironia che da sempre lo avevano accompagnato, a scoprire anche l’ importanza e la preziosa  inutilità di tutte le forme di comunicazione, apprezzando e facendoci apprezzare il  non meno profondo e penetrante valore  del silenzio, che prelude alla ricerca e alla rigenerazione della parola autenticamente  poetica:

“Perché tutte le lingue del mondo, non ci servono per capirci e l’unica lingua che ho, non mi basta per baciarti // per baciarti dove vorrei, // dove sei bella come sei. / Dove non c’è mai stato bisogno di parole” [3].

[1] G. Leopardi: “La Ginestra”, ne: “I Canti”, Milano, Mondadori, 1988.
[2] Claudio Lolli (Bologna28 marzo 1950 – Bologna17 agosto 2018) è stato un cantautoredocente e scrittore italiano. I suoi dischi sono: 1972: “ Aspettando Godot”, 1973: “Un uomo in crisi” “Canzoni di morte. Canzoni di vita “, 1975:  “Canzoni di rabbia “, 1976:   “Ho visto anche degli zingari felici, 1977: “Disoccupate le strade dai sogni”, 1980: “ Extranei”, 1983: “ Antipatici antipodi”, 1988 , “Claudio Lolli”, 1992 “ Nove pezzi facili”;  1997: “ Intermittenze del cuore”,  1998:  “Viaggio in Italia”, 2000: “ Dalla parte del torto”, 2006: “ La scoperta dell’America, 2017:   “Il grande freddo”. Tra i numerosi Premi ricordiamo: La Targa Tenco 2017 come miglior album dell’anno per: Il  grande freddo; Premio Durruti, 2012; Premio Lunezia alla carriera 2017.
[3] da: “Tutte le lingue del mondo”, in “Claudio Lolli”, Milano, EMI, 1988.
Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.

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