Esistono (fondamentalmente) due modi di intendere Internet: il primo, quello più tradizionale, la considera un enorme archivio di fonti di informazione di vario genere (e tendenza) organizzato in maniera tale che l’utente possa muoversi liberamente da una all’altra. Il secondo, quello che (ormai?) ha preso piede, il modo per entrare in uno spazio organizzato dove posso trovare tutto quello che potrebbe interessarmi.

Potrebbe sembrare una differenza insignificante, detta così. Ma rifacciamoci ad un esempio fisico più consono alle generazioni dei non nativi digitali. Una volta, andando dal paesello in una grande città, sapevo di poter trovare migliaia di negozi in cui cercare qualsiasi articolo (o servizio) mi interessasse. Ora, andando in un grosso centro commerciale di periferia, so di trovare altrettante cose tutte all’interno di uno stesso “contenitore”.

Dal punto di vista di chi sta cercando uno specifico oggetto le due condizioni cambiano solo per il grado di comodità, dove la seconda lo è certamente molto di più. Dal punto di vista del mercato la differenza è enorme: in termini di concorrenza, omologazione dell’offerta, metodi di merchandising (il come presentare le proprie merci), costi di gestione (orari, personale, monopolio degli spazi…) e così via.

Dal punto di vista culturale la differenza è abissale: concentrare enormi quantitativi di persone in un unico spazio implica un’omologazione al ribasso dell’offerta che sarà giocoforza sempre più orientata alla media – escludendo ad esempio l’offerta prettamente culturale o scientifica – abbattendo i prezzi (e conseguentemente la qualità) per renderli appetibili ai più; avvantaggiando la quantità piuttosto che la qualità. L’importante sarà, fondamentalmente, offrire in continuazione un’esperienza nuova che motivi le persone a tornare (al Centro Commerciale come alla Piattaforma Social).

La svolta cruciale in questo senso è avvenuta grazie a Aza Raskin, che dal punto di vista dell’esperienza quotidiana ormai è più familiare all’umanità rispetto a Alexander Graham Bell (o Antonio Meucci), ai fratelli Lumiere, oppure ad Albert Einstein. Anche se per nome lo conoscono certamente in pochissimi addetti ai lavori.

Aza Raskin, figlio di Jeff – inventore del Macintosh: il primo Personal Computer – nel 2006 propose un metodo innovativo per passare da un’informazione all’altra in Internet. Normalmente si vedeva una pagina di informazione e poi si faceva un click su “Prosegui” oppure “Prossima pagina” o un link che rimandava ad approfondimenti.

Lui pensò che “ogni volta che l’utente clicca per cambiare pagina smette di essere concentrato su ciò che sta leggendo. Questa distrazione interrompe un flusso e costringe l’utente a smettere di leggere, così una volta che ha smesso magari pensa che può cambiare sito” e fu così che ideò una metodologia (non un’innovazione tecnologica bensì solo  stilistica) il cosiddetto Infinite Scroll (chi fosse interessato può trovare una sua intervista qui su Il Foglio – Tecnologia ).

Concretamente: fintanto che l’utente scorre una pagina (scroll), una porzione di software asincrono interroga l’archivio estraendo nuovi contenuti (ovviamente non a caso, ma qui si torna alla profilazione effettuata dai social network di cui abbiamo già parlato), che accoda a ciò che sta vedendo, permettendogli di continuare a sfogliare virtualmente all’infinito. Comodo vero?! Dal punto di vista della User Experience una comoda e piacevole novità, particolarmente per chi naviga con lo smartphone.

Solo che questa piccola innovazione si combina con due caratteristiche del nostro cervello già implicate in altre negatività (ad esempio il gioco d’azzardo compulsivo): la ricerca di stimoli positivi che contribuiscono al rilascio di serotonina nel cervello (il premio) e la tendenza a compiere movimenti semplici e ripetitivi (avete presente la leva delle slot machine?).

La conseguenza è che – particolarmente ma non esclusivamente in condizioni di stress o depressione – osservare un volto amico, o una situazione divertente, o un qualsiasi altro stimolo positivo che comporta la liberazione di serotonina nel cervello, ha una funzione di rinforzo positivo esattamente come lo ha lo zuccherino offerto dall’addestratore all’animale che emette un comportamento desiderato. In psicologia si chiama Condizionamento Operante ed è basato sugli studi iniziati da Ivan Petrovič Pavlov (Russia 1849 – 1936) con i suoi cani.

Il movimento del dito (o del mouse) per far scorrere la pagina è paragonabile a quello della leva della slot machine: immediato, semplice e… “Vediamo se questa volta mi arriva il premio!” e via scorrere.

Il risultato finale è che rimaniamo lì, a scorrere e scorrere in attesa del nostro premio, fino agli eccessi definiti Infinite Scroll Syndrome (https://www.psychologytoday.com/us/blog/automatic-you/201208/infinite-scroll-the-webs-slot-machine) in cui diviene impossibile smettere fino al dolore; ma in ogni caso rimaniamo incollati al Social Network ed ai contenuti (di marketing) che il suo software astutamente inframezza a quelli che per il nostro cervello diventano stimoli premianti.

Ah! Pare che Aza Raskin sia così pentito della sua invenzione da aver fondato – insieme a Tristan Harris, un ex designer di Google – il Center for Humane Technology, un’organizzazione non profit che vuole “umanizzare” la tecnologia.

Immagine: Di Doenertier82, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=642841

Francesco Valotto
Veneziano di nascita (nel ‘61 dell’altro secolo), moglianese d’adozione (da sempre: il ‘64 dell’altro secolo!), con una laurea in Psicologia ed una carriera al limite dell’informatica, mi dedico a talmente tante cose da non riuscire ad elencarle quando me le chiedono, sempre alla ricerca di cosa farò da grande.

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