Mollo lo Zero con la bici e vado verso il campanile a cipolla di Campocroce. Vicino svetta più alta una ciminiera. Vado a trovare Ugo, una persona sorprendente in una struttura più che sorprendente. Vado in Filanda. Un monumento di archeologia industriale ottocentesco, salvato, recuperato e restaurato dalla famiglia Franco.
Breve storia della Filanda.
Sfoglio il bel librone di Luigino Scroccaro “Lo stabilimento bacologico e la filanda Motta” , due chili e due ore ben spese. Siamo nel 1876 e viene creato uno stabilimento bacologico (bachi da seta) dal cavalier Pietro Motta che si ampliò nei primi decenni del ‘900 fino a diventare un vero e proprio motore industriale, complesso ed autonomo. Se vi interessa leggetevi comodi il libro e scoprirete perle interessanti, come ad esempio l’arrivo delle “furlane”  e perfino un’avventura cinematografica a Cinecittà. So che anche mia nonna deve averci lavorato ma magari questo non vi interessa.
Breve storia di Ugo.
Ugo che mi accoglie mentre due sposini posano per tre fotografi incontentabili e cento invitati gozzovigliano nella grande sala delle bacinelle riconvertita in sala da pranzo, illuminata da enormi finestroni originali. Ugo è intimidito dal mio taccuino e si raccomanda dieci volte di sminuire il suo ruolo , lui “sistema”  semplicemente, lui fa solo dei lavoretti, lui risolve i problemini. Sarà, però nella nostra oretta insieme lo chiamano “solo”  una decina di volte.
Breve storia della famiglia Franco. Il papà Mario divenne proprietario effettivo nel 1989 ed ebbe una intuizione geniale, trasformare una struttura bella ma pericolante e perfettamente fuori dalla storia in un centro sì con funzioni economiche ma anche in un qualcosa che aveva che fare con la sua memoria, con i suoi affetti. Ugo mi racconta, il suo notevole baffo vibra di commozione, che suo padre diventò direttore della filanda gemella di Sernaglia a…16 anni e quindi arrivare a Campocroce fu una sorta di ritorno alle origini. E qua sta la novità. Gli edifici, curati e rigenerati furono trasformati in studi indipendenti a disposizione di aziende, artisti, architetti creativi. La Filanda, amministrata dai cinque figli eredi, è diventata una delle più belle situazioni di intelligenza del Veneto… E non solo.
Ugo non vuole pubblicità. Mi rendo conto che gestire quaranta inquilini “Trentatre -precisa Ugo- perché qualche azienda ha affittato più studi” , beh insomma, non deve essere facile lo stesso con tutti che rognano per un bagno che… per un gradino che… E chi interviene? Ugo. Chi parla con la sovraintendenza? Ugo. E chi provvede per l’adeguamento alle norme edilizie? Ugo. Ugo mi ricorda per esempio la sua battaglia per realizzare un ascensore che consentiva ad un portatore di handicap di raggiungere la sala grande al primo piano. Sì ma dove lo si costruisce in un in un edificio vincolato dalla sovraintendenza?
Ugo scompare per una decina di minuti perché hai iniziato a piovere, La sposa è fortunata ma gli ospiti bagnati vogliono la torta. Mi spiego: il servizio era preparato all’aperto ma le gocce scolorano le acconciature e annacquano il dolce. Ugo armato di chiavi li fa entrare in un piano terra (la ex falegnameria) dove i cento festosi sbraneranno finalmente la torta nuziale e forse anche i camerieri.
Perché sono venuto qua.
Domando a Ugo di spiegarmi questa seconda attività, altrettanto importante, mettere la Filanda a disposizioni di eventi e insisto su quelli culturali. Ugo mi parla di concerti, mostre, teatro ed altri spettacoli vari. Mi spiega che l’anno scorso, come per tutti è andata male e ci sono un sacco di manifestazioni da recuperare e mi mostra la locandina di quest’anno. Generoso, come al solito, non ne parla come un locatore ma considera la Filanda come un qualcosa di culturale, utile per le persone, che piaccia a tutti.
Cerco di fargli una foto ma non vuole e mi accorgo che la struttura principale della Filanda con accanto la ciminiera sembra una cattedrale laica, chiesa e campanile al tempo del capitalismo.
“Dai, Ugo, contame na storieta” .
Parte. Il baffo si allarga. Una volta dopo un matrimonio lunghissimo, tipo alle quattro di notte, un ultimo gruppo di festeggianti gli chiede un sacco di plastica. Ugo, purché sloggiassero, glielo dà ma questi dicono che è troppo piccolo. Ugo allora gliene procura uno di quelli grandi, neri che aveva in magazzino. Non resiste però e chiede a che cosa servisse. Loro serissimi gli dicono che dovevano avvolgere lo sposo, svenuto, perché avevano paura che, nel tragitto di ritorno, sporcasse la lussuosa macchina noleggiata. Sposo fortunato?

Otello Bison
Otello Bison scrive a tempo pieno dividendosi tra narrativa e divulgazione storica. Collabora al “ILDIARIOONLINE.IT” su temi ambientali e locali.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here