Cominciamo con una domanda.

Cos’è la “finanza fossile”?

Sono tutte le politiche dei grandi enti finanziari privati (banche, assicurazioni, società di investimenti ecc) volte a promuovere le attività di aziende del settore dei combustibili fossili (estrazione di carbone, petrolio e gas in particolare) completamente in contrasto con i principi di sostenibilità ambientale, della transizione ecologica e dell’azzeramento delle emissioni di climalteranti. Finanza fossile significa finanziare il collasso climatico, o come ha detto qualche tempo fa Segretario Generale dell’ONU: “Con i sussidi alle fonti fossili usiamo i soldi della gente per finanziare gli uragani”.

E le grandi banche fanno finanza fossile?

Decisamente più di quanto si crede: le 35 banche più grandi al mondo hanno investito nel 2019 ben 736 miliardi di dollari nel settore dei combustibili fossili, una quantità paragonabile al PIL di un paese come l’Olanda. Questa enorme quantità di denaro, che oltretutto è aumentata negli anni (anche dopo l’approvazione degli Accordi di Parigi del 2015) contribuisce in maniera determinante a impedire l’abbandono dei combustibili fossili e l’approdo ad una economia più sostenibile.
Basti pensare che, a livello globale, gli investimenti nelle fonti fossili continuano a rappresentare quasi i due terzi degli investimenti nel settore dell’energia, a fronte del 37% per rinnovabili ed efficientamento. Per ogni euro in energia pulita, ne vengono investiti due in energia sporca.
Ciò che forse è ancora più grave è che questi soldi provengono in larga parte dai risparmi dei clienti di queste banche, i quali contribuiscono (senza saperlo) a sostenere aziende inquinanti e quindi a mettere in serio pericolo il futuro dei loro stessi figli. Quasi ogni banca infatti si dichiara “sostenibile” e promuove una propria immagine di “azienda green” ma nella realtà investe in tutt’altra direzione, in modo molto spesso per nulla trasparente.

Qual’è la situazione in Italia?

La finanza fossile non riguarda soltanto i giganti finanziari di USA e Cina: anche qui in Italia istituti finanziari continuano a investire oltre dieci miliardi di euro l’anno nel settore fossile, a dispetto delle orgogliose dichiarazioni di “sostenibilità”, Unicredit e IntesaSanpaolo sono le due banche che più contribuiscono a questa quota(1).
Se si sommano gli investimenti annuali nelle fonti fossili di questi enti privati con quelli “regalati” al fossile dallo Stato Italiano (tra i Sussidi Ambientalmente Dannosi), risulta che in pratica ogni pochi anni “l’energia sporca” riceve un “Recovery Fund” tutto suo.

Perché non si investe di più nelle rinnovabili?

Negli ultimi anni investire nei combustibili fossili è diventato, oltre che immorale ed pericoloso per l’ambiente, pure antieconomico: la gran parte delle aziende del fossile sono in perdita e si reggono in piedi solo grazie a investimenti e sussidi, mentre in borsa i titoli delle società energetiche basate sulle rinnovabili stanno rendendo fino 7 volte di più delle loro omologhe del settore fossile.
Perché allora la transizione negli investimenti sta tardando così tanto? Potremmo ipotizzare le cause stiano nell’inerzia e nel conservatorismo dei dirigenti di queste banche, oppure in possibili rapporti clientelari tra banche e grandi multinazionali del fossile. Chissà?

La domanda è: cosa posso fare come singolo cittadino?

Ognuna/o può contribuire a cambiare quest’orrida situazione in tre semplici step:
1) Fare una ricerca su internet cercando le banche italiane che non investono in combustibili fossili (le cosiddette “banche etiche”);
2) Scrivere alla propria banca (specialmente se si tratta di grandi banche come ad esempio potrebbero essere Unicredit, IntesaSanPaolo, Generali o banche del gruppo Crédit Agricole) e dare un ultimatum: se entro “una certa” data la banca non avrà eliminato i combustibili fossili dalle proprie politiche finanziarie, sarò costretta/o a ritirare il mio denaro.
Se la banca ignorerà l’e-mail, o risponderà tentando di dipingersi di verde, o offrirà un investimento “pulito” ad hoc per fare contento la singola persona, risulterà chiaro che non intende cambiare le sue politiche solo perché chiedi un futuro migliore per i propri figli e nipoti.
Sarà allora il momento di aprire il conto in una delle banche etiche e spostare lì tutto (o la maggior parte) del proprio denaro, per poi notificare tale spostamento alla banca precedente.

E’ un pugno fortissimo, che dato anche da poche persone nello stesso periodo di tempo è sufficiente a costringere la banca a rivedere un minimo le proprie priorità.
Questo tipo di pressione si è già dimostrato efficace: negli ultimi anni, nonostante la tattica sia stata impiegata in modo molto contenuto, si è visto la finanza fare qualche timido passo in avanti.
Infatti finora 40 banche nel mondo si sono imposte di ridurre o azzerare i finanziamenti alle industrie del carbone.
Anche in Italia si sono visti i primi risultati, alcuni istituti finanziari dallo scorso anno hanno iniziato a modificare, sebbene limitatamente al settore del carbone, i loro indirizzi di finanziamento.

Si è visto che con la partecipazione di tutti si può iniziare a smuovere qualcosa, cominciamo dalle banche: perché non partecipare a questo tipo di pressione? Costa poca fatica, permette di “lavare” i soldi dal petrolio, tutela il nostro futuro e quello dei nostri figli. È il momento di defossilizzare i nostri risparmi!

 

(1)Fonti:

Dati sugli investimenti delle principali banche mondiali (Rainforest action network)

Report sulla finanza fossile italiana (Re:common e Greepeace)

Le rinnovabili in borsa hanno reso 7 volte più dei combustibili fossili

Le disastrose attività minerarie della RWE

Sintesi di Extinction Rebellion sul tema

Bank green

Samuele Campello (Ribelli all'Estinzione-Mogliano)
Mi chiamo Samuele, ho 20 anni, vivo a Mogliano e sto frequentando la facoltà di ingegneria per l’ambiente a Padova. Ho frequentato il liceo scientifico G. Berto. Da un anno sono attivista nel gruppo Fridays For Future e “Ribelliamoci all'estinzione” Mogliano. Ho iniziato alla scuola media ad informarmi su alcuni problemi ambientali, ma oggi ho capito come essere informati non sia più sufficiente; per me infatti l’attivismo è l’unico mezzo per alleviare la mia frustrazione per la spregiudicata distruzione della natura e l’incertezza del futuro.

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