Prima scena. Simpatia.

Mi aspetto un funzionario con giacchettina e invece mi trovo davanti ad un solido ragazzo con la tuta e stampigliato il marchietto del Consorzio di bonifica Acque Risorgive. Mi rilasso e gli consegno la lista, bella e stampata, delle domande ma per tutto il colloquio non riusciremo a mantenere una logica progressione, sbanderemo generosamente e la mezz’ora pattuita si trasformerà in un paio di orette.

Seconda scena. Quesito.

Gli dico subito che il lettore in verità vuole sapere solo una cosa “Posso transitare, camminare, correre sugli argini tranquillamente? Sono liberi? Sono del demanio?…“Aggiungo che dopo (?) il Covid  un sacco di persone, settecento nell’altro articolo, hanno questo dubbio. Lui mi guarda serenamente, tocca la mascherina, sposta il mouse e poi mi risponde “No”.

Terza scena. Dura lex

“La legge è quella del 1904 ma è stata riaggiornata nel 2014, la riassumo: vicino al fiume è prevista una fascia di rispetto di 4 metri, in cui non si può costruire niente e possono solo transitare i mezzi del consorzio. Poi ci sono 10 metri di –zona di rispetto idraulico– in cui le opere comprese nella fascia dai 4 ai 10 metri vanno autorizzate dal consorzio”.

Quarta scena. Spero e  dispero.

È come una sberla. Sono deluso. Cerco una scappatoia all’italiana: fatta la legge, trovato l’inganno. Risposta tombale: “No, se il privato mette la sbarra vuol dire che ha avuto il permesso da noi per farlo. Deve però garantire al Consorzio, con una doppia chiave, il passaggio delle macchine delle attrezzature. Però è e rimane proprietà privata, e questo vale per il 90% degli argini…“. L’arginauta che c’è in me boccheggia.
Quinta scena. Il dottor Busolin

Il ragazzo, l’intervistato, vanta una laurea in scienze forestali, cerca di tirarmi su. “In teoria si potrebbe lavorare sulla servitù di passaggio. Mi spiego meglio. Invece di intervenire sull’esproprio il Comune potrebbe (condizionale futuro remoto) pagare il diritto di passaggio lasciando però intatta la proprietà privata dell’argine. Una specie di patto tra amministrazione, un comitato di utenti, i proprietari e noi del consorzio. È difficile ma si potrebbe sperimentare…”.  Ne sono convinto e gli dico che domenica ho visto passeggiare (incoscienti) un sacco di gente sullo Zero. Lui mi dice che dalle sue parti a Scorzè sul Dese sembrava di essere in Piazza Ferretto.

Sesta scena. Consolazione.

È il momento consortile e gentile. Insisto molto sullo Zero. È il suo pane quotidiano “stiamo lavorando molto sulle fasce tampone cioè cerchiamo dove possibile di rinaturalizzare le sponde, con pochi alberi cambia il paesaggio ma stiamo puntando molto anche sulle aree di fito depurazione e sulle zone umide. Insomma il nostro compito non è solo salvaguardare ma anche ripristinare, valorizzare. Conosce per esempio il sito NICOLAS?”

Settima scena. Sòrbola.

Sono goloso e curioso ma lo fermo. C’è la questione sicurezza. C’è dell’alluvionale in me. Pericoli? “Se dobbiamo parlare del tratto di fiume che interessa Mogliano devo dirle che abbiamo fatto un buon lavoro. Ad esempio “il Bacareto“ è una zona bassa e le acque non scaricavano a sufficienza quindi siamo intervenuti con la realizzazione di un pozzettone per alloggiare una motopompa di emergenza dotata di una “sòrbola”. “Scusi?”  Dico che mi sembra un’espressione molto emiliana. Sorride  “É una moto pompa che viene installata in caso di emergenza e  pesca dal fosso del Bacareto e scarica sulla Fossa Storta. In caso di emergenza, mentre un po’ di anni fa intervenivamo con mezzi e personale del consorzio, ora sono stati addestrati i volontari della protezione civile comunale che intervengono posizionando la moto pompa di proprietà del comune.

Ottava scena.  E si fa tardi. 

Non potevo risparmiargli la querelle sulle nutrie. Professionale: “L’ Università degli studi di Padova sta studiando le loro abitudini. Si sta scoprendo che oltre i cunicoli scavano anche piccole grotte di raccordo. Quello che è successo l’altro giorno a Mogliano è stato probabilmente proprio questo. L’acqua dopo la pioggia ha raggiunto uno di questi vuoti e si è creata una breccia sul corpo arginale. Per fortuna è successo proprio dove abbiamo realizzato le vasche di laminazione”. “Comunque il vero problema è il cambiamento climatico, le precipitazioni sono intense e concentrate. Non esiste il rischio zero, sarà dura nei prossimi anni. Ad esempio ricordo che in un giorno di luglio di qualche anno fa eravamo in questa stanza con un bel sole fuori e ci hanno chiamato d’urgenza perché a Piombino Dese c’era il diluvio ed erano sott’acqua.”

Nona scena. Appunti.

Comunque è mezzogiorno, un collaboratore si affaccia in ufficio, realizzo che sto esagerando. Saluto, ringrazio, a presto. Appena sono in bicicletta mi rendo conto che non riuscirò mai a condensare quella sfilza di appunti in una paginetta. Mi arginerò.

Otello Bison
Otello Bison scrive a tempo pieno dividendosi tra narrativa e divulgazione storica. Collabora al “ILDIARIOONLINE.IT” su temi ambientali e locali.

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