La scrittura corrisponde alla necessità di mettere ordine all’interno di un discorso personale, là dove si svolge il continuo colloquio con il sé. Nell’oceano indistinto delle sensazioni, emozioni, percezioni che ci compongono, il parlarci è rappresentarci: la parola costituisce la possibilità di illustrare a noi stessi la realtà. La parola crea il mondo, permette all’indistinto di emergere in modo che prima di tutto a noi stessi sia leggibile il risultato dell’esperienza.

All’inizio è caos, si confonde, la storia della nostra personale parola, con il mito dell’origine. Ogni cosmogonia dà all’inizio una serie di elementi indistinti che vengono poi, attraverso l’intervento esterno di qualche demiurgo, ordinati secondo gerarchie. I nostri primi suoni sono l’espressione di questo disordine e per stabilire una relazione significativa con l’altro è necessario lo sforzo di tutto il nostro corpo, la partecipazione attiva di tutto il nostro essere, ne va della nostra sopravvivenza.

L’urlo segna la nostra presenza per l’altro, il contatto ci denota. Via via i suoni disarticolati diventano parole ed offrono a noi la possibilità di selezionare i suoni per articolarli e nominare, agli altri una base comune per far parte del nostro campo di esperienza. Allora il corpo, come sede di comunicazione privilegiata, comincia a perdere di importanza e l’ordine del discorso gli si sostituisce e media tra l’indistinto e il distinto, costituisce il confine, il mezzo, il pedaggio per dire e dirsi.

Traccia del nostro passato, intuizione del futuro, faticosa ragnatela del presente, la parola ci determina e ci affaccia nelle reti collettive, perdendoci nei labirinti della rappresentazione, costituendo tuttavia la sottile bava cui attaccarci per riassorbirci in noi, senza perderci.

Siamo ragni pazienti che disegnano sottili e trasparenti trame, trappole di discorsi, cacciatrici e cacciatori di parole espresse, siamo lente lumache incapaci di scrollarci di dosso millenari ricordi di percorsi sonori già effettuati, siamo flaccidi bachi che costruiscono solide argomentazioni per avviluppare il corpo in una costruzione da cui a volte può nascere una trasformazione. E siamo farfalle quando il suono ci fa trascendere dal mito di cose già dette, compiendo itinerari di senso in libertà.

La scrittura è la traccia di questo percorso con il sé e l’altro da sé, testimonianza di un ordine accettato e fatto proprio. È lei a stabilire con rigore che si sa comunicare e che si può comunicare, che si può comprendere ed essere compresi e quindi che si può stare dentro, la bava del ragno è tutta nel nostro corpo, e stare fuori, la splendida ragnatela -visibile però secondo il punto di vista o di luce (ci sono sempre luoghi differenti, diverse possibilità di decodifica di un discorso, e non è luogo il logos?). E’ ancora lei che cattura l’attenzione degli altri, che cattura l’altro da sé, forse prima di tutto noi stessi.

Scrivere ci rende visibili ancor più che parlare e ci consente di leggerci e quindi di interpretarci.

Per questo scrivere è così facile ma anche così difficile, perché costituisce una continua mediazione tra l’esperienza e la sua codificazione e decodificazione, un continuo attraversamento di sensi e significati, sorta di liberazione e d’assoluta prigionia.

La scrittura è terapeutica perché permette di conciliare l’esperienza intima in cui si sedimentano e si sommano i dolori delle perdite, con la vita che fluisce, con la morte che si conosce o che si ignora.  Allora si autorizzano i vissuti profondi ad emergere, filtrati dalla parola che guarisce o dalla mitizzazione che scambia i piani e fa diventare epica anche la sofferenza più lancinante. Protagonisti di episodi che ci hanno visti succubi, diventiamo finalmente eroi, affrancati, perdonati, illuminati dal racconto che trasforma i dati dell’esperienza nella narrazione.

La scrittura è un lapsus, poiché nonostante noi, nonostante la sovrapposizione culturale, essa porta in sé e con sé la traccia del nostro urlo caotico, il segno del rapporto con il corpo, il proprio, l’altrui e forse prima di tutto quello con la madre.

La scrittura fa dimenticare quando l’evento, anche rimosso, è stato portato in evidenza dall’atto stesso del creare. L’averlo fatto emergere lo ha depurato da un attaccamento che ci impediva di allontanarci dai fardelli dell’odio o della recriminazione, perché scrivere è riconciliarci con il passato, è porre il passato in un tempo che ora non ci coinvolge più

La scrittura è eros, ma non come immediata e destrutturante irruzione del desiderio. È una voglia temperata dall’appartenenza ad un codice, che ci consente tuttavia nella sua strutturazione in forme accettabili, intensi piaceri, avendo imparato ad abbandonarlesi.

Gioco sapiente d’avvicinamenti, vicinanze e distacchi mai definitivi. È un corpo presente, perentorio, spesso, ma educato perché ogni possibilità espressiva e di contatto, di piacere, sia data. Immediata ed esplosiva passione, temperata dall’attesa paziente del darsi ad un ritmo che non è solo nostro, poiché nell’incontro con l’altro, l’altro deve essere presente, a sé ed a noi.

Scrivere è come suonare, è come dipingere, è come danzare.

È catturare una trama preesistente ad ogni parola e discorso, è rendere comprensibile un ritmo attraverso un linguaggio peculiare che ha diversi livelli e gradi di intelligibilità. Nasce e rinasce, ogni componimento, quando ci si immerge in un flusso di accadimenti in cui ciascuno è protagonista ma che solo l’autore rende evidente ai più. Così, appreso l’uso dello “strumento”, ogni autore sceglie di comporre scandendo le cifre secondo una armonia che gli è propria, a volte fedele al codice scelto, a volte improvvisando, giocando con la propria aderenza alle regole di capire e di farsi capire, obbligando tutti gli altri ad una sfida che può andare oltre la decodifica concordata.

Scrivere per me è soprattutto un intenso piacere. È l’esplorazione del nuovo e corrisponde al momento in cui ho saputo di esserci ed ho capito che potevo dirmi e che gli altri mi avrebbero compresa se appena io, senza rinunciare a nulla di me, avessi potuto farmi ascoltare.

È la scoperta del corpo che si dice, la scrittura è il mio corpo.

Per questo mi piace o non mi piace, spesso la fletto, la arcuo, la condiziono, la gioco, la scopro, ma la amo con una dolcezza che conosco solo da me.

Scrivere per me è esplorare i discorsi fatti dagli altri e dal mondo su di me, sono i discorsi che faccio e che mi faccio.

Scrivere è fare.

Emanuela Niero
Sono nata sotto il segno dei Pesci, mi piace guizzare. Sono femminista, faccio parte del gruppo l’8sempre donne Mogliano, sono partigiana, ho fatto parte del direttivo ANPI di Mogliano Veneto, mi piace leggere per me e per bambine bambini adulti con le lettrici di “Quante storie!”. Lo yoga mi accompagna molti anni.

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