In applicazione di quanto disposto dal DPCM del 24 ottobre 2020, anche il Teatro Busan è stato costretto a sospendere le attività di spettacolo dal vivo. Avevamo programmato una ricca stagione teatrale di qualità. Un atto di coraggio e di entusiasmo dettato dalla voglia di restituire il palcoscenico all’abbraccio della propria comunità con una consapevolezza in più della funzione del valore del teatro in un tempo difficile come questo. Siamo infatti convinti che l’arte, la cultura siano il più potente vaccino dell’anima. Ecco perché pur tra mille difficoltà, avevamo deciso di offrire ai nostri affezionati spettatori una ampia varietà di spettacoli: Paolo Rossi, uno spettacolo su Franca Valeri, Il malato immaginario di Moliere, La bisbetica domata di Shakespeare, un testo inedito su Caravaggio, un concerto spettacolo sulla canzone d’autore italiana, una rilettura drammaturgia di Moby Dick, una performance di clownerie al femminile, un concerto di Giulio Casale, l’ultimo lavoro di Giuliana Musso…Una stagione particolare, insomma. Ma purtroppo questa bella stagione teatrale non è neppure iniziata.

In questa circostanza, ci associamo al diffuso sentimento di preoccupazione, da molte parti espresso, sul futuro sempre più precario che si sta prospettando per il mondo della cultura tutta, nelle sue diverse articolazioni, convinti che proprio la cultura e l’arte in generale siano utili al Paese e che, dunque, una loro crisi arrechi un grave danno in prima battuta alle lavoratrici e ai lavoratori di questo settore ma, in generale, all’intera Nazione.

Di fronte ad una sfida così ardua come quella imposta dalla pandemia siamo chiamati tutti – istituzioni, politica, parti sociali, imprese, scuole, famiglie e singoli cittadini – a fare la nostra parte.

Sono convinto che agli intellettuali di questo nostro Paese spetti il compito di aiutare a guardare più in profondità e più lontano di quanto l’emergenza oggi ci consente di fare. In tempi normali gli intellettuali sono utili, in tempi di rivolgimento sono necessari. Necessari a leggere la drammatica complessità in cui stiamo vivendo, necessari a capire.

La verità è che possiamo gridare, piangere, battere i pugni e disperarci quanto vogliamo, ma questa tempesta non si sposterà dal nostro cielo, e non si sposterà per molto, molto tempo. Non siamo dentro un episodio di maltempo passeggero, ma nel mezzo di un passaggio epocale che produrrà la fine di un equilibrio per lasciare spazio ad un nuovo equilibrio che nessuno ancora conosce.

E’ un tempo tragico, ed è per questo che tante volte, in questi giorni, si è insistito (io credo giustamente) sull’importanza di tenere aperti i teatri, anche (soprattutto) in mezzo alla tempesta. Perché chi fa teatro lo sa molto bene: in tempo di Tragedia l’unica cosa a cui si può davvero aspirare è una catarsi, individuale e collettiva. E cosa è la catarsi? Una profonda accettazione del tragico come parte dell’esistenza, un rito di condivisione del dolore, di purificazione delle menti e degli spiriti, per liberarsi insieme da istinti violenti, egoistici, distruttivi, e ridare aria alla coscienza più intima e preziosa che dentro di noi sembra soffocare, ma invece ancora respira. E’ uno sforzo immane, ma non mi pare ci sia molto di meglio, e di più necessario, a cui mirare. Compiere -ciascuno come può e come sa- questo sforzo vorrà dire avere la speranza, almeno la speranza, che a tempesta finita ci si possa ritrovare dentro un equilibrio meno spaventosamente squilibrato di quello che ha portato a tutto ciò.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here