Il diario è da sempre una forma di scrittura semplice all’apparenza, ma difficile da analizzare nella sostanza. La sua semplicità è infatti piena di insidie legate al denominatore autobiografico, che nella sua semplicità più o meno disarmante, svela, nasconde confessa e sub-confessa, vincolando il lettore alle proprie “responsabilità” emotive, in quanto è un tipo di scrittura che non ricorre ai filtri e alle finzioni proprie del racconto del romanzo o di altri generi letterari.

“Lo sguardo” (Confessioni di una mamma) di Luciana Feletti (Unicolor, Pordenone, 2021 a cura di Roberta Gubitosi) non fa da questo punto di vista eccezione, nella misura in cui lo sguardo di Luciana e di Ivan, suo marito, alle prese con la disabilità del proprio figlio Juri, inducono i lettori ad aprire gli occhi dinanzi alle possibilità trasformative che la vita stessa offre a chi ha il coraggio di lottare contro i mali fisici che colpiscono una giovane vita. In modo da allargare in una prospettiva “alchemica” quelli che sono gli aspetti più fluttuanti del miglioramento per nulla scontato, ma sicuramente realizzabile se si ha il coraggio di credere sino in fondo alle possibilità di un cambiamento delle prospettive di una vita, che sembra sin dalla nascita condannata a un dolore e a una sofferenza che sembrerebbero a volte preludere al peggio.

Quello che infatti si desume dalla lettura di questo diario, tanto bello quanto struggente, ma al tempo stesso colorato da più squarci di speranza e di luce è qualcosa di più di una storia di quello che, parafrasando un altro bel libro di Elena Improta[1] è “una storia di ordinaria diversità”. Nella misura in cui il percorso di lotta contro la disabilità del piccolo Juri e della sua integrazione nel mondo diventano una metafora esistenziale improntata alla convergenza dell’amore e dell’assurdità che la fede, in una simile circostanza implicano.

L’intera vicenda si volge tra gli ambienti chiusi degli ospedali e delle mura di casa e gli spazi aperti di varie città italiane ed estere con una dinamica che non fa mai perdere di vista gli aspetti costruttivi e vitali di questo viaggio nel controdolore, il cui simbolo, di convergenza sembra essere caratterizzato, tra gli altri possibili valori esistenziali dall’acqua e dal diretto e via via più vitale contatto che il piccolo Juri stabilisce con essa attraverso la pelle. Senza soffermarci troppo sulle osservazioni fatte già a suo tempo dal grande antropologo Ashley Montaigu[2], uno dei punti di forza di questo diario sta nel proporsi come un resoconto lucido, tattile e in sintesi tattile carezzevole, nella misura in cui il dramma in esso descritto ha la capacità di prenderci per mano per condurci verso l’ampliamento di quelle che sono, anche al di là della scienza, i miglioramenti delle prospettive di vita nelle sue molteplici manifestazioni.

Il resto sta nel resoconto di un’esperienza di vita e descritta come già detto a presa diretta e senza nessun filtro o artificio letterario, in modo che il diario rappresenti di pagina in pagina un percorso di consapevolezza, fatto sì di quella che genericamente si chiama “cognizione del dolore”, ma anche delle molteplici forme finalizzate al suo superamento. Secondo la logica di un resoconto fatto che è notizia dal diluvio e vertiginoso senso del suo superamento. Secondo una logica che trasforma i vari episodi descritti, se non in archetipi, quanto meno in modelli, che ci indicono a volte a pensare alle figure narratologiche di Campbell e Vogler[3]. In quanto anche qui ci sono eroi che si mettono in gioco con i loro punti deboli (fatal flow) e rischiano tra le ombre della loro forza e delle loro debolezze e scoraggiamenti di incappare nell’ingannevolezza destabilizzanti di situazioni che solo il superamento può garantire il raggiungimento di una nuova fase di consapevolezza. Ovviamente andando contro tutto ciò che la ragione e le convenzioni inducono a considerare come assolutamente impossibile, o per dirla con il Baudelaire del “Mio cuore messo a nudo”[4] tutto è possibile perché: “Diffidiamo del popolo, del buonsenso, del cuore, dell’ispirazione e dell’evidenza.”

[1] E. Improta: “Ordinaria diversità”, pref. di W. Veltroni, . Roma, Ponte Sisto, 2018

[2] A. Montaigu: “Il Linguaggio delle Pelle”, Baiso, Reggio Emilia, Verdechiaro Edizioni, 2021.

[3] J. Campbell: “L’eroe dai mille volti”, Torino, Lindau. 2016 e C. Vogler: “Il viaggio dell’Eroe”, Roma, Dino Audino Editore, 2010.

[4]C. Baudelaire “Il mio cuore messo a nudo”. Milano, Adelphi, 1983.

Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.