Uno dei temi che mi ha più appassionato in questi ultimi anni è stato quello del “non voto“.
Mi chiedevo cioè come fosse possibile la riduzione dei votanti a meno del 50% del corpo elettorale ed in particolare cercavo di capire quali fossero le ragioni che avevano portato parte corposa della sinistra (com’è dimostrato da molte ricerche) ad astenersi dal voto.
Il primo elemento di ragionamento che mi sembrava giusto osservare riguardava una scelta della sinistra italiana.
Essa aveva infatti conquistato aree di consenso nuove, e per certi versi inaspettate, nei ceti colti e che più si erano appropriati della capacità scientifica e di analisi nell’affrontare la realtà.
Chiamavamo queste aree lo “ZTL” della società significando che erano luoghi per certi versi protetti dalla crisi delle condizioni materiali della vita da una parte e dall’altra dediti con passione alla conquista ed alla sperimentazione di forme elevate e nuove di libertà.
In sostanza facevo capire, forse con una eccessiva semplificazione, che chi non ha l’assillo della quotidianità del vivere materiale si può permettere con più facilità la piena libertà dei pensieri e delle conquiste civili.
A questo si opponeva un elemento che segnava pesantemente la differenza con il secolo passato: il distacco delle forze popolari dalla sinistra.
Si badi bene dalla sinistra, non solo dal PD.
E la dimostrazione la avemmo in molti risultati elettorali recenti.
La vittoria nei quartieri borghesi non era solo del PD ma di tutta la sinistra anche la più estrema.
E le percentuali più deboli erano invece nei quartieri popolari, nelle periferie.
Ed anche in questo caso per tutta la sinistra.
Quindi facendola semplice e banale: conquistata una parte importante della borghesia colta e perso una parte altrettanto importante del cosiddetto “popolo”.
Fin qui siamo alle vecchie osservazioni del caso.
Ma si deve andare più avanti e bisogna capire se tutto ciò è corretto per poi occuparsi del “che fare”.
Ci da una mano sostanziale alcuni giorni fa sul quotidiano “Domani” uno studioso attento e che si esprime con grande chiarezza: Pietro Ignazi.
La tesi è quella dell’“abbaglio”.
La sinistra ha creduto ad un certo punto che la conquista di nuovi ceti portasse con se, di conseguenza, anche “il mostrarsi socio-economicamente moderati“.
Errore pesantissimo perché l’avvicinarsi dei nuovi ceti medi culturalmente avanzati era frutto d’altro e cioè della “diffusione di una diversa concezione dell’individuo e del suo ruolo nella società”.
Una “tendenza sostanzialmente libertaria e liberatrice….che ha scavato a lungo nella nostra società italiana” fin dal tempo dei referendum su divorzio e aborto.
L’attenuazione della radicalità del pensiero nelle materie socio-economiche è stata vista a sinistra come condizione per essere finalmente in grado di conquistare una nuova parte della società italiana.
Questo è però l’abbaglio che viene preso.
I due concetti non si incrociano, non si intersecano.
E mentre a fatica si conquista un nuovo voto borghese con facilità si perde quello popolare.
Va aggiunto che vi è differenza tra i due voti, quello guadagnato e quello perso.
Il voto di convincimento intellettuale è sempre in prestito perché basato su convinzioni di ragionamento.
Il voto popolare è un voto di appartenenza che quando non hai più fai molta fatica a riconquistare.
Perché?
Per il convincimento di chi ti abbandona: “mi hai tradito”.
Nel frattempo le sirene sovraniste intrecciate al popolarismo banale, spesso sciatto ma chiaro strappano anche l’ultima veste rimasta.
Con una politica semplice: c’è sempre un colpevole, basta trovarlo: l’emigrato, il disadattato e così via fino ad arrivare alla massima forma: lo Stato, l’Istituzione: il colpevole numero 1.
Pietro Ignazi spiega in pratica una cosa molto semplice che aggrava ulteriormente l’abbaglio che la sinistra prese.
La radicalità non è solo necessaria per tutte le ragioni storiche e sociali che abbiamo ricordato.
Lo è anche perchè le espressioni di parola e di contatto di cui ci serviamo e che usiamo, grazie al sistema della comunicazione, sono radicali.
Per essere capite e comprese bene e per opporsi alle logiche di galleggiamento, di indecisione, di tentennamento che questa società italiana non sopporta anche se spesso pratica.
Per ricuperare, tornare a discutere, riprendere una relazione con i mondi che si sono allontanati occorre riprendere con forza la battaglia per una società più giusta, attenta ai diritti sostanziali, che parta dal lavoro e dall’welfare.
Che guardi ai progetti per il futuro in maniera non astratta e profondamente legata alle condizioni della vita dei lavoratori.
E la caratteristica non potrà che essere la radicalità degli obiettivi e delle scelte.