È certamente difficile discutere e ragionare su una città straordinaria.
Lo sanno bene quelli che in passato ci hanno provato da diverse angolature, spesso da opposti punti di partenza.
I perché non sono pochi.

Da una parte hai la sensazione di occuparti di qualcosa che non è “tuo”, che non può appartenerti nemmeno se ci vivi dalla nascita.
Perché la dimensione dell’immaginario collettivo è stata ed è troppo grande.
Dall’altra invece ti rendi conto del dramma che questa città attraversa, figlio di com’è gestita ed anche parente della sua fama e della sua storia.
Divenuta palcoscenico a prescindere dal suo essere, dal suo sapere, dal suo vivere.
La contraddizione è evidente a ogni passo.

Appare sempre più invivibile per chi vi risiede piegato a rispettare tempi e modalità d’uso che appartengono ormai e perlopiù al turismo.
Rimane scrigno di tesori inarrivabili ma guardati spesso con leggerezza perchè sono sempre nulla rispetto alle architetture del cielo aperto che si attraversano con poco impegno a piedi.
Bella e impossibile.

E intanto però qualcosa cambia.
Perché il mutamento non lascia mai le cose com’erano prima.
E non ci si illuda: non si cambia mai solo perchè si vuole cambiare.
Si cambia se si può cambiare.
Ed il tessuto sociale si trasforma. 
Lentamente e da più tempo di quel che si crede.

Cambiano gli esercizi commerciali, mutano le destinazioni delle case, si affermano nuove proprietà, crescono risposte a desideri nuovi che appaiono divenire giorno dopo giorno più lontani dal vivere una città e più vicini al “consumarla” prendendone le offerte e ricercando solo in pochi casi la linfa nascosta che ancora si cela.

E così purtroppo, mestamente e drammaticamente cambiano le idee.
Le idee in questo nuovo secolo non sono frutto solo delle mentalità e della capacità di analisi.
Finite le ideologie sono spesso la merce prelibata dei propri interessi.
Si pensa perché si desidera e si vuole.

© Andrea Merola

Ed allora se la città è solo turismo e se questo turismo tutto sconquassa e cambia, se questo è il modo di essere di Venezia, allora alla fine avrò solo tre strade.
Lottare contro il turismo ricordando gli ultimi dei moicani; approfittare del turismo digrignando i denti o al meglio conviverci sopportando infelice; diventarne attore conducendo le danze del nuovo sviluppo.

Ho scritto però “alla fine”.
Perché non tutto è perduto.

Ma non è facile, lo dicevo all’inizio riuscire a leggere la realtà, mantenere una posizione ferma in difesa della vita normale ed avere in contemporanea la capacità di mediare con ciò che accade, dialogandoci senza falsa coscienza e senza doppiezza.

E non basta sentire la propria pancia.
Non è sufficiente aggregare quelli che la pensano come “noi”.
Non è nemmeno divertente usare dell’immagine di Venezia per spiegare che questa stessa immagine non ci piace.
E lo si è visto anche recentemente.

Intanto occorre capire che gli interessi presenti in laguna sono troppo forti per essere piegati solo da chi ci vive.
Se questa fosse l’unica via sarebbe quella delle riserve indiane che com’è noto ha portato a poco.

Il tema Venezia è oggettivamente ormai metropolitano.

E non parlo del “senso” della città: quello è internazionale.
Parlo degli interessi che da, su e con Venezia possono esistere.
Sostengo che una città miseramente in balia di un turismo non pensato, non programmato e lasciato solo al libero mercato più becero non serve allo sviluppo della metropoli Venezia e del Veneto.
Anzi.
Ed allora non si può cadere nel trabocchetto che è teso.

Da una parte in maniera sotterranea ogni atto che si compie è in favore del turismo esistente.
Dall’altra a parole si dice di essere contrari a ciò che esiste oggi ma il massimo che si riesce a fare è guadagnare qualche soldo (utile per carità alle casse comunali ma inutile per il destino di Venezia).

Ed infine ci si guarda bene dal pensare, dell’investire, dal progettare qualsiasi cosa che sia in una diversa direzione, che apra altre possibilità di sviluppo e di trasformazione.

E penso ai tanti settori che con il turismo non hanno nulla a che fare come vetro, ricerca, università, beni culturali e non solo.
Allora lottare contro gli arrivi eccessivi va fatto seriamente ma è nulla se non si incentivano altre forme di interesse e di opportunità per la città.
Per questo non mi innamoro dei matrimoni e nemmeno gli aborro.
Perché non ho bisogno di immagine e fumo e so che questa volta i problemi sono sostanziali e veri più di ogni altra.

Di fronte a noi stanno scadenze importanti. E la misurazione dei consensi da dare dovrà tener conto, spero, anche di questi pensieri.


Si ringrazia la redazione della testata giornalistica “ytali.com” per averci concesso di riproporre l’articolo su “ILDIARIOonline

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

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