Continua con il secondo capitolo la storia “Ofelia, compagna di lotta” di Enrico De Zottis
Padova. Era come entrare in un altro mondo, un universo spalancato. Per la prima volta nella mia vita, ero fuori casa, in un appartamento con altre studentesse, una libertà che non avevo mai conosciuto. Le nostre discussioni, le sigarette fumate fino all’alba sui divani sfondati, le notti in bianco sui libri… era un fermento. Non c’era solo lo studio: c’era la vita che pulsava in ogni angolo. L’università era un crocevia di intelletto e cultura, un luogo dove ogni idea, anche la più folle, poteva essere discussa, sviscerata, assorbita. Era fantastico. Le aule, i corridoi, le mense: un ronzio costante di voci, di dibattiti. Era l’Italia del ’68, un’onda che si era riversata anche da noi, che sembrava poter spazzare anni, secoli, di conformismo cattolico e perbenismo.
E poi c’erano i cineforum. Non erano solo proiezioni, erano esperienze collettive. Vedere certi film, con quella capacità di raccontare le vite degli ultimi, le crepe del sistema, la ribellione che covava… era come se qualcuno ti aprisse gli occhi sul mondo. Ti mostravano le fabbriche, le periferie, le facce di chi non aveva voce, proprio mentre in Italia il cinema d’autore come quello di Pasolini o Bellocchio metteva a nudo le contraddizioni della società. E la musica. Ah, la musica! Voi non avete idea di cosa volesse dire per una adolescente italiana di fine anni ’60, cresciuta in provincia tra casa, scuola e chiesa, ascoltare i Led Zeppelin. Quel suono, quelle chitarre distorte, quella voce che si librava, potente e selvaggia. Non erano le canzoni di Sanremo, non le voci sdolcinate alla radio che parlavano di amori da romanzetto. Era una scarica elettrica, un’esplosione di energia che ti entrava dentro e spazzava via anni di silenzio e conformismo. Era la voce della mia rabbia, della mia voglia di spaccare tutto. Era la musica della mia rivoluzione personale.
Sentivo la mia mente espandersi, divoravo libri, articoli, ogni parola era un pezzo di un puzzle che finalmente prendeva forma. Ed è lì che l’impegno politico ha iniziato a concretizzarsi, a diventare carne e sangue, non solo teoria. Non ero l’unica, certo. Con me c’erano Giulia e Alessandra, le mie compagne di corso, con cui condividevo non solo gli appunti e le notti sui testi di filosofia, ma anche un’inquietudine crescente. Discutevamo ore, ore intere, della società che ci circondava, delle ingiustizie che avevamo letto sui libri di Marx e che vedevamo ogni giorno nelle facce stanche degli operai e negli occhi disillusi dei nostri padri. Si parlava di Vietnam, del movimento studentesco, delle lotte operaie del ’69, l’Autunno caldo, cose che stavano scuotendo il paese dalle fondamenta.
Loro erano più avanti di me, più esperte. Mi portavano alle prime assemblee, alle prime riunioni clandestine nei sottoscala, dove si respirava un’aria diversa, carica di tensione ma anche di una speranza quasi palpabile. Tra noi tre, le differenze c’erano. Io e Giulia eravamo le più intransigenti, le più inclini a radicalizzarci, a non volere compromessi. “Lotta totale” dicevamo. Giulia, con quella sua intensità bruciante, vedeva solo il nero o il bianco, il giusto o lo sbagliato. Non c’erano sfumature. E io, con la mia storia sulle spalle, non potevo che seguirla in quella convinzione. Ma Alessandra… Alessandra capiva, sì, era con noi nelle proteste, nelle discussioni, si arrabbiava come noi per le stesse ingiustizie. Ma lei, in fondo al cuore, non voleva rinunciare alla prospettiva di una vita semplice di piccoli agi. Un buon lavoro, un marito, una casetta, qualche certezza. Era la vita che noi chiamavamo, con disprezzo, “piccolo borghese”. E capivamo che per lei, la lotta aveva un limite, una soglia oltre la quale non avrebbe mai messo piede. Era il 1972, il terrorismo si faceva sentire con ferocia, dalle bombe di Piazza Fontana agli attentati di Peteano, e l’aria era elettrica. Sentivamo che qualcosa stava per accadere, doveva accadere. Che il mondo non poteva restare così.
Quell’anno, il 72, rimarrà inciso nella mia pelle, a prescindere da tutto il resto, fino alla fine. Il paese era una polveriera. Scioperi, occupazioni, scontri di piazza erano all’ordine del giorno. Ogni settimana una nuova manifestazione. C’era nell’aria la sensazione che il cambiamento fosse a portata di mano, ma anche una tensione palpabile, un odore di pericolo. Le voci si facevano più forti, le grida più disperate, e la risposta dello Stato, più brutale. Le formazioni di estrema sinistra e destra si fronteggiavano per le strade, era un crescendo che sembrava non fermarsi mai. Quella mattina, a Padova, era diversa. Ricordo il cielo grigio, un freddo che ti entrava nelle ossa nonostante l’eccitazione. Eravamo in migliaia, studenti, operai, famiglie. Il corteo avanzava, un fiume di striscioni, slogan che risuonavano tra gli antichi palazzi. Giulia era lì, al mio fianco, come sempre. I suoi occhi brillavano di quella luce febbrile che aveva quando sentiva di essere in azione. C’era anche Alessandra, un po’ più indietro, meno esposta, ma lì con noi. Volevamo contrastare le leggi fatte per strangolare i diritti dei lavoratori, per zittire le voci scomode.
Eravamo in una piazza, nel centro della città, quando arrivò la polizia. Non c’erano stati avvertimenti chiari, né trattative. Solo i furgoni blindati che bloccavano le strade, i caschi, gli scudi neri che riflettevano la luce grigia del giorno. E poi, la prima carica. Un muro di uomini in divisa che si muoveva compatto. La folla si sparse, tra urla e spintoni. Noi ci stringevamo, cercavamo di resistere, di tenere la posizione. Il fumo dei lacrimogeni bruciava gli occhi, la gola. Il caos. I corpi che si scontrano, le grida che si confondono. Era la famosa violenza di stato che, dopo la strage di Piazza della Loggia e l’omicidio di Giuseppe Pinelli, era diventata una realtà tangibile, ora anche per noi.
E lì, in mezzo a quel pandemonio, il suono sordo. Non di uno sparo, non di un vetro rotto. Un colpo secco, maledetto, di un manganello. Ho visto Giulia. Un istante prima era accanto a me, il pugno alzato, il fuoco negli occhi. Un istante dopo… è caduta. Senza un grido. Come una bambola di pezza. Un colpo in testa, preciso, mirato, o forse solo una cieca forza brutale. Mi sono gettata su di lei, spingendo gli altri. Il sangue. Il suo sangue che si spandeva sulla pietra umida della piazza, un rosso così vivo, così sbagliato, contro il grigio di quel giorno maledetto. La sua testa era aperta, gli occhi spenti.
È bastato quello, un misero, dannato, pezzo di legno nelle mani di un poliziotto senza volto, per spegnere la luce nei suoi occhi. E per accendere un fuoco dentro di me che non si è più spento. Non si è mai spento.
E in quel momento, davanti al corpo di Giulia, ho capito che non c’era più tempo per i compromessi, per i salotti, per le belle parole che non cambiavano nulla. La democrazia, la chiamavano. Ma io vedevo solo la violenza del sistema che proteggeva se stesso, che schiacciava chi osava alzare la testa. Loro ci uccidevano per strada, e noi dovevamo continuare a porgere l’altra guancia? No. Non più.
Loro avevano le armi, il controllo, la forza bruta. E noi? Noi avevamo la rabbia, la disperazione, la consapevolezza di una giustizia negata. Eravamo il grido soffocato che doveva liberarsi. Ho cominciato a cercare chi sentiva come me, chi aveva il coraggio di vedere le cose per quello che erano. E li ho trovati. Loro credevano nella lotta senza compromessi, nella necessità di rispondere con la stessa moneta.
Non l’ho fatta per gioco, non per romanticismo. L’ho fatta per Giulia, per tutti quelli come lei, per una giustizia che non arrivava mai. Assolutismo Proletario, era il loro nome. Ed era una promessa. Una promessa fatta nel sangue e nella rabbia, che avremmo rotto le catene, che avremmo strappato dalle mani dello Stato il potere che veniva usato per opprimere. Non con i voti, non con le fiaccolate. Ma con la forza. Perché solo la forza, a volte, può spezzare l’immobilismo e creare un nuovo inizio. Un inizio assoluto.
Il terzo capitolo di “Ofelia, compagna di lotta” verrà pubblicato domani mercoledì 25/06/2025
Il primo capitolo è stato pubblicato il 23/06/2025: https://www.ildiarioonline.it/2025/06/23/gotico-trevigiano-ofelia-compagna-di-lotta-1/