Ma dai! Ma va! Ma stai scherzando, vero?
I serpenti urbani non esistono, è una balla, anzi, una feikniùs!!! Ma cosa t’inventi, pur di attirare la nostra attenzione di umani alieni da qualsiasi aspetto dell’ambiente naturale che ci circonda. Noi, senza la natura, stiamo benone. Vuoi mettere un bel centro commerciale con l’aria condizionata per una domenica pomeriggio di giugno, luglio e agosto?
Mi sembra di sentirvi, cari lettori di poca fede.
Invece è proprio così: non è una balla, ma una realtà; una realtà persino banale, perché i serpenti urbani esistono eccome.
Recentemente sono stato raggiunto dalla telefonata accorata di un’amica che mi chiedeva il da farsi perché nel giardino della figlia un grosso serpente s’era arrampicato su un arbusto e non intendeva scendere. Non potendo intervenire personalmente per impegni precedentemente assunti le ho consigliato di rivolgersi ai Pompieri. Questi ultimi, però, hanno gentilmente declinato l’invito perché, hanno detto, il serpente si trovava in un luogo privato, mentre loro intervengono con la scala da 24 metri soltanto per salvare i gattini che non riescono più a scendere dagli alberi dei parchi pubblici. Morale della favola, il povero (e innocuo) serpente, forse spaventato da un cagnolino, ha fatto una fine “cattolica”. In altre parole è stato ucciso (non so se con schiacciamento del capo), come impone la religione dominante (che è la stessa professata da esemplari umani come Totò Riina e da altri “eroi politici” dei nostri tempi) fin da tempi evangelici.
Ora, veniamo a cose serie e dunque ad una corretta informazione naturalistica. I serpenti urbani appartengono a tre diverse specie, o meglio a 3+1 (numero decisamente singolare).
La più diffusa è il Biacco (Hierophis viridiflavus), che poi sarebbe l’aggressivo ma non velenoso “carbonàz” dei nostri padri, nonni e bisnonni. Il Carbonàz, che chiameremo così per affetto, ha infatti colonizzato diffusamente gli ambienti urbani della Pianura Veneta (compresa Mogliano, ovviamente). Un grande predatore di lucertole e di altri piccoli vertebrati, compresi i giovani della sua stessa specie. Un serpente mordace e velocissimo, che non esita ad aggredire le caviglie degli umani se questi vengono a trovarsi tra lui e la sua tana, nel momento in cui decide di fuggire (e di salvarsi la vita). Quanto al morso, non è velenoso, come si diceva ed ha una sola controindicazione: può far venire i capelli bianchi dalla paura anche ai più coraggiosi.
Questa specie, che nei nostri territori è presente soprattutto con una varietà melanica (nera, ma non per compiacere il governo Meloni), può raggiungere i 180 cm di lunghezza e mangiarsi senza problemi una pantegana.
La seconda specie per diffusione è rappresentata da un serpente di montagna che viene chiamato Colubro liscio (Coronella austriaca). Un piccolo serpente mite, che vive soprattutto negli orti, nutrendosi in particolare di grossi insetti, ma anche di lucertole e di topolini. Raggiunge la lunghezza massima di 60 cm e presenta un colore nocciola con decorazioni brune e una tipica linea che dall’occhio arriva all’apice del muso. Non morde e preferisce fuggire; non solo, ma si dice sia uno dei serpenti più intelligenti, perché se allevato in terrario sembra riconosca l’umano che se ne prende cura.
La terza specie è la Natrice dal collare o Biscia dal collare (Natrix natrix), come a dire il maggiore tra i serpenti italiani, dato che le femmine, se invecchiano (caso raro) possono raggiungere i 250 cm di lunghezza. Si tratta della mitica Bissa ranéra dei nostri padri (vedi anche il famosissimo libro di Otello Bison), che talvolta si spinge dai fossi di periferia ai giardini urbani, per catturare anfibi o piccoli rettili.
La quarta specie, infine e dunque il “+1” non è un serpente ma una lucertola senza zampe. Si chiama Orbettino (Anguis fragilis) ed è stato privato delle zampe dall’evoluzione della sua specie, dato che vive tra le foglie della lettiera nei sottosiepe.
Ecco, almeno lui, che non è un serpente, non uccidetelo per favore.