Tra poche settimane noi cittadini italiani saremo chiamati alle urne per esprimere il nostro voto su 5 temi referendari di fondamentale importanza.
Come tutti i referendum, anche questo per essere valido deve raggiungere un quorum del 50% più un voto, cioè dovrebbero andare a votare circa 25 milioni di italiani.
Negli ultimi anni l’affluenza è calata sempre di più, ma i referendum più importanti, come quello che ci attende, hanno sempre raggiunto i voti necessari.
Questo fenomeno preoccupa non poco una parte della politica che ne uscirebbe sconfitta nel caso il referendum venisse approvato, e in questo caso quella parte politica è la destra che ci governa.
Indovinate ora che stratagemma ha pensato di adottare il nostro ministro degli esteri Antonio Tajani? Invitare i cittadini a non andare a votare, in modo da boicottare il referendum e non raggiungere il quorum necessario, stratagemma già utilizzato in passato con scarsi risultati.
Un comportamento assai spregevole, quasi criminoso per il ruolo istituzionale che ricopre. Un vergognoso tentativo di screditare la sovranità popolare, ma che nasconde una verità ancor più triste: il governo è consapevole di perdere questo referendum, e non avendo argomentazioni valide per controbattere le legittime richieste dei sindacati e dell’opposizione, cerca disperatamente di boicottare un voto popolare.
Ancor più spregevole il presidente del Senato La Russa, che qualche giorno fa ha dichiarato che farà “propagnada affinché gli italiani restino a casa”: evidentemente il presidente non ha ancora capito che il ruolo che ricopre gli impone di essere neutrale in questioni politiche di questo tipo, ennesima prova della sua ignoranza istituzionale.
Che dire, di una tristezza immane.
C’è solo un modo per arginare questa deriva ignorante e criminosa: andare a votare.
Il voto non è solo un diritto, ma anche un dovere verso noi stessi: non votare significa permettere ai pochi che governano di decidere per noi.
Il referendum dell’ 8 e 9 giugno sarà diviso in 5 punti, di cui 4 sul tema del lavoro e 1 sulla cittadinanza per gli stranieri regolari.
Viviamo un periodo storico di straordinaria innovazione tecnologica e culturale, eppure ogni giorno, in Italia, 3 persone muoiono sul posto di lavoro. A parlarne così sembrano pochi e distanti, ma pensate che potrebbero essere vostro figlio, un vostro amico o il vostro vicino di casa. Tutto questo a causa delle scarse tutele imposte dallo Stato. Il referendum vuole dunque imporre più protezione per i lavoratori, responsabilizzando anche le aziende appaltatrici.
Oltre alla sicurezza sul lavoro, il referendum reintrodurrà maggiori tutele contrattuali, come il diritto ad essere reintegrati in caso di licenziamento ingiusto e maggiori risarcimenti al lavoratore, e limiterà l’utilizzo di contratti a termine a favore di quelli indeterminati.
L’ultimo punto tratterà la normativa sulla cittadinanza per gli stranieri regolari: attualmente per ottenere la cittadinanza italiana uno straniero con documenti regolari deve attendere 10 anni di continua permanenza sul suolo nazionale. In questo lunghissimo periodo quella persona non può usufruire dei servizi nazionali, come la sanità pubblica, ed esercitare i suoi diritti, come quello di votare, pur però pagando le tasse e rispettando le leggi come tutti.
Premettendo che, prima di ottenere la cittadinanza, è giusto attendere un certo periodo di tempo necessario per dimostrare la volontà di stabilirsi in Italia, è evidente che 10 anni siano davvero troppi: in un decennio possono succedere molteplici cose che possono esporre un soggetto non tutelato a rischi gravi.
Il referendum dunque chiede di ridurre questo periodo di attesa da 10 a 5 anni.
A destra, primo tra tutti il generale Vannacci, si sono indignati per questa proposta affermando che “la cittadinanza va meritata e non regalata, noi ce la siamo guadagnata”. Onorevoli parole, tanto belle quanto insensate: in che modo il generale Vannacci si è meritato la cittadinanza italiana? Ha forse il grande merito di essere nato da una madre italiana? Lui la cittadinanza l’ha ottenuta alla nascita, mica dopo aver servito la patria…
Io la chiamerei piuttosto “fortuna”, e non merito.
Facciamo dunque il nostro dovere, se non per senso di giustizia almeno per il nostro interesse personale: andiamo a votare!