L’articolo 75 della nostra bella Costituzione ha opportunamente previsto la possibilità, per i cittadini, di far pesare la propria voce in merito alle leggi in vigore, attraverso il referendum. Sono escluse alcune leggi di particolare delicatezza che necessitano di una competenza specifica, come le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, oppure di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Il popolo, direttamente e senza mediazioni, col referendum abrogativo può costringere la politica a modificare decisioni considerate sbagliate, inducendola a rivedere i criteri, o a confermare le scelte se ritenute corrette.

 Disapproviamo pertanto coloro che, anche ricoprendo cariche istituzionali, consigliano di astenersi dal voto. Qui non si tratta di vuote questioni su cui scrollare le spalle, ma è in gioco la vita comune di milioni famiglie nei loro diritti che influenzano il benessere e la sicurezza.

Dunque invitiamo al voto, indipendentemente dalle preferenze che ognuno è libero di esprimere su uno o più quesiti col proprio Sì (cioè votando per l’abrogazione), o con il No (che conferma quanto previsto dalle leggi attualmente in vigore).

Trattandosi di un referendum avente forti connotati sociali, preferiamo in questa fase iniziale non manifestare quali forze sindacali e quali partiti siano a favore o contro l’abrogazione, riservandoci eventualmente di darne conto in seguito.

I cittadini però devono sapere: affinché un referendum sia valido, occorre che almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto in Italia vada alle urne. Stiamo parlando di numeri impressionanti. Vale a dire, mal contati, oltre 25 milioni di votanti che dovrebbero andare a votare, vincendo la propria consolidata tendenza a scansare le urne. Poi la maggioranza dei voti determinerà le scelte. Ma questi 5 referendum abrogativi proposti contengono alcune motivazioni forti che dovrebbero muovere la gente. Ed è proprio questo il nostro augurio: un’opportunità rara di espressione democratica dal basso. Da non sprecare.

Quattro referendum riguardano il vitale tema lavoro, così brevemente riassumibili:

  1. Stop ai licenziamenti ingiustificati (abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23): vale per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi, nelle aziende con almeno 15 dipendenti. Con questo referendum si chiede di abolire il passaggio dove si stabilisce che un lavoratore può essere licenziato anche senza giusta causa o motivo giustificato. Oggi la legge prevede ben pochi casi, in cui il datore di lavoro è condannato al reintegro del lavoratore licenziato illegittimamente. Al massimo al datore di lavoro viene chiesto un risarcimento di modestissima entità; Il quesito è formulato così nella scheda:

«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n.   87,   convertito   con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della   Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?».

  • Il secondo quesito, anch’esso formulato in politichese azzeccagarbugli, sostanzialmente chiede di togliere il tetto dell’indennizzo che il datore di lavoro deve pagare a un lavoratore licenziato ingiustamente: oggi arriva ad un massimo di 24 mensilità (per dipendenti con oltre oltre 20 di servizio in imprese con oltre 15 dipendenti). Se un lavoratore viene licenziato, anche illegittimamente, da un’azienda con meno di 15 dipendenti, al massimo riceverà miserevoli 6 mensilità. Per correttezza trascriviamo la formulazione del quesito posto agli elettori:

«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»

  • Il terzo quesito punta a ridurre la piaga del lavoro precario. Quello che impedisce di avere uno sguardo sul proprio futuro e lascia milioni di famiglie nella morsa dell’insicurezza. Chiede di limitare il ricorso ai contratti a termine ai soli casi di provata necessità e con precise motivazioni. Oggi possono essere legali contratti a termine a discrezione completa del datore di lavoro, anche di durate fino a 12 mesi. Così il datore di lavoro può assumere e licenziare con ampia discrezione. Il quesito è formulato così:

«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»

  • Il quarto quesito punta a garantire maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro. Spesso le imprese appaltano l’esecuzione dei lavori di cui sono titolari ad altre imprese più piccole, nei cosiddetti subappalti al ribasso, senza curarsi che queste rispettino le basilari norme di sicurezza. In diversi casi ciò che a loro interessa è solo il costo più basso e la manodopera è esposta dunque ai rischi di lavori gravosi da eseguire con sveltezza e magari con forze lavoro insufficienti. A rimetterci è proprio la tutela della sicurezza, L’abrogazione della norma impone anche ai cosiddetti committenti e a tutta la catena degli appaltatori una responsabilità in solido nel vigilare sulla sicurezza e le condizioni di lavoro anche dei propri partner:

«Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»

  • Esiste poi un quinto quesito che non riguarda il mondo del lavoro, ma vorrebbe favorire una maggior integrazione di stranieri regolari con la cittadinanza italiana. In sostanza propone di abbattere da 10 a 5 anni la permanenza minima di uno straniero nel nostro paese per poter richiedere la cittadinanza, com’era fino all’anno 1992.

Sappiamo che si tratta di un quesito fonte di infiniti dibattiti divisivi. In pratica allineerebbe il nostro paese a quanto già avviene per esempio in Francia, Germania e Paesi Bassi. Per dovere d’informazione va precisato che rimarrebbero immutati tutti gli altri requisiti previsti di legge: la verifica di conoscenza della lingua italiana, il possesso negli ultimi anni di un consistente reddito, l’incensuratezza penale, l’ottemperanza agli obblighi tributari, l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica.

Il quesito è così formulato:

«Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?»

Dunque, cittadine e cittadini, nei giorni 8 giugno (domenica dalle ore 7 alle 23) e 9 giugno (lunedì dalle ore  7 alle 15) andate ad esercitare il vs. diritto di scelta.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

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