Ritengo che il Sambuco nero (Sambucus nigra) sia tra le pochissime piante conosciute a livello popolare. Tra quelle cioè, che sanno riconoscere proprio tutti, come la gramigna o le ortiche e che, come tali, consentono a chi di piante ne sa assolutamente nulla, di sfoggiare una certa “cultura botanica”.

In altre parole, il Sambuco fa parte di quella speciale “Botanica banale e popolare”, che ci consente di tenere il collegamento minimo e indispensabile con il Regno vegetale.

Va detto, peraltro, che non è stato sempre così e che nel nostro passato recente, la componente contadina della nostra società (praticamente tutti, all’infuori dell’impiegato dell’anagrafe, del maestro di scuola e del maresciallo dei Carabinieri) vantava una conoscenza delle piante di notevole livello. Conoscenza che distingueva innanzitutto le piante utili da quelle dannose e le piante commestibili da quelle velenose.

Ma torniamo al nostro caro Sambuco nero, specie vegetale arbustivo/arborea che chi scrive ama particolarmente e che ospiterebbe volentieri in giardino, se questo non fosse già sovraffollato all’inverosimile, come dev’essere per un autentico “giardino naturalistico”.

Il Sambuco nero non è solo, in Italia, anzi, ha due fratelli: il Sambuco rosso (Sambucus racemosa) e il Sambuco lebbio (Sambucus ebulus). Mentre però il Sambuco rosso è specie a diffusione collinare e montana, il Sambuco lebbio è presente in pianura, essendo peraltro assai meno conosciuto e, anzi, considerato velenoso per la tossicità delle sue bacche.

A differenza del Sambuco lebbio, i cui fusti presentano una consistenza erbacea e si rinnovano annualmente, il Sambuco nero presenta il portamento di un arbusto, con fusti legnosi che si sviluppano dalla ceppaia e che raggiungono uno sviluppo in altezza pari a 6-8 metri.

Si tratta dunque di un grande arbusto, che con qualche intervento di potatura può assumere il portamento di un piccolo albero, con tronco robusto il cui diametro raggiunge anche i 40-50 centimetri. Il Sambuco nero, infatti, raggiunge un’età che supera il secolo, anche se il fatto di essere considerato specie banale e povera, da questo punto di vista non gioca affatto a suo favore.

Ricordo un piccolo albero di Sambuco, alto non meno di 8 metri, che si trovava all’estremità esterna della barchessa di Villa Manin di Passariano (Codroipo, UD). Un esemplare superbo, di almeno due secoli di vita, che alla fioritura si copriva di infiorescenze candide e che alla fruttificazione richiamava legioni di merli, di storni e di rigogoli. Lo osservai soltanto un paio di volte, perché ad una successiva visita scoprii che era stato tagliato, perché “disturbava” il paesaggio esterno della barchessa.

Da quanto ho scritto, cari affezionati Lettori, avrete capito che il Sambuco nero è pianta speciale. Una pianta che ci consente di produrre un dolce e rinfrescante sciroppo dai fiori e una marmellata dai frutti. Una pianta il cui aspetto gareggia alla pari con alcune delle piante ornamentali più (banali) e diffuse. Una pianta rustica, che può accompagnarci per oltre un secolo di vita (sempre che si decida di allungarcela smettendo di fumare, ovviamente). In altre parole, un potenziale concorrente all’arredo del nostro angusto e tristissimo giardino di rose ad alberetto e di sempreverdi di origine e di utilità sconosciute. Un antidoto alla depressione da tristezza dell’ambiente domestico-urbano, che molti di noi dovrebbero considerare. Tanto più in questa delirante fase storica, in cui il comandante della Capitale del Capitalismo ci sta rivelando il vero volto e dunque l’imbecillità del sistema dei consumi e degli sprechi, dell’antropocentrismo e dell’individualismo, dei rifiuti da esportazione, della plastica e delle microplastiche. In altre parole ancora, un piccolo “albero comunista”, spartano e generoso, che sarebbe piaciuto a Papa Bergoglio: il solo che si è accorto che in duemila anni la Chiesa cattolica, oltre a quella delle donne, non aveva ancora riconosciuto la dignità della Natura e dei milioni di altri organismi viventi che coabitano con l’Uomo su questo sfortunato e bellissimo pianeta.

Michele Zanetti
Michele Zanetti vive vicino alle sponde del Piave e di acque, terre, esseri viventi si è sempre occupato. Prima come "agente di polizia provinciale" e adesso come naturalista a tutto tondo. È stato il cofondatore di un attivo centro didattico "il Pendolino" , ed è l'autore di una cospicua serie di libri su temi ambientali di cui è anche capace illustratore. ha intrapreso anche la via narrativa in alcune pubblicazioni recenti.

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