L’ESULE FIGLIOL PRODIGO

“Tutto mi apparirà chiaro quando, con la morte dei miei genitori lontano dalla loro terra, mi sarei riavvicinato alle ragioni del loro esilio, riconquistando dentro di me gli ideali di libertà propri di coloro che avevano combattuto contro il fascismo – i miei genitori, zio Nino, le vittime di Porzϋs, gli autonomisti fiumani – ma senza abdicare a questi in nome di un’altra ideologia, o a un Partito, che li soffocava pro-doma propria”.

Diego Zandel ha dovuto percorrere un cammino lungo e frastagliato, costellato da infuocate illusioni giovanili, nebbie ideologiche nell’Europa dei due blocchi contrapposti, condizionamenti famigliari e consapevolezze adulte post-guerra fredda, prima di approdare all’abiura e al pentimento plateale per il proprio passato di esule “inconsapevole”. Peggio: sospettabile di aver tradito le proprie origini. Un mea culpa pubblico, accompagnato e controbilanciato da una avvelenata condanna di chi – la sinistra comunista nello specifico – quel passato, lo ha incarnato – questa l’accusa dell’autore di “Autodafé di un esule. Nel ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata”, Rubbettino Editore 2025, 88 pp.  12,00 €, – nel ruolo di manipolatore della Storia, di dissimulatore della democrazia, di portabandiera del bene collettivo impostosi dopo una sanguinosa guerra di resistenza contro il male assoluto del fascismo, compromesso irreparabilmente con il nazismo genocida. Vincitori da una parte e vinti dall’altra, dunque. Senza nessuna seria rielaborazione di un ambiguo passato nazionale, nessuna seria epurazione nei ranghi dell’amministrazione, nessuna punizione dei criminali di guerra che pure hanno infangato, dall’Africa alla Grecia alla Jugoslavia, il nome dell’Italia nel mondo. Ma torniamo ai tormenti dell’esule pentito. Il processo di rinascita, ideale e spirituale, del giornalista e scrittore Diego Zandel, nato in un campo profughi marchigiano e cresciuto nel Villaggio giuliano-dalmata di Roma, si fonda innanzitutto sull’autocritica da parte di chi, in giovane età, si innamora e poi sposa la figlia di un fervente comunista greco scappato con tutta la famiglia nel nostro Paese. Continua con la frequentazione del variegato mondo della sinistra italiana, egemonizzata dal Pci al quale finisce per iscriversi, dopo aver militato nel Psi e solidarizzato con gli anarchici.

“Anni dopo – racconta Zandel – ritrovando per caso la tessera in un cassetto, la strappai con rabbia, per la vergogna che provai nei confronti di me stesso, sbagliando, ovviamente, perché non è giusto rinnegare il nostro passato, errori compresi. Noi siamo anche il frutto dei nostri errori”. Il disagio, la macerazione interiore, si rivelano nel tempo sempre più nitidi. L’autore rivela che fra gli anni 70 e 80 “feci mia – seppur solo in parte, per quel cordone ombelicale che non avevo mai tagliato con le mie origini – la narrazione comunista, che metteva in ombra le sofferenze del popolo istriano e fiumano, privilegiando quelle patite dagli slavi a causa degli italiani. Come se queste ultime potessero giustificare quelle, al punto, per come venivano rinfacciate ai profughi, da essere ritenute addirittura giuste”.

La via di Damasco lungo la quale avviene la ri-conversione di Diego Zandel da esule camuffato e inconsapevole a fiero difensore degli italiani adriatici perseguitati e scacciati dagli jugoslavi di Tito, registra varie tappe. Significativi gli incontri con personaggi – come spiega nel libro – per lui cruciali, quali l’eurodeputato socialista Ruggero Puletti o il direttore dell’”Avanti” Antonio Ghirelli, o l’ambasciatore croato a Roma, l’istriano Drago Kraljević. Fondamentale è, però, l’approvazione nel 2004 della legge 92 che istituisce il “Giorno del Ricordo”, il più grande atto pubblico riparativo alla memoria offesa degli esuli, che offre a Zandel l’opportunità di tenere conferenze sulle foibe e l’esodo in scuole, associazioni e Comuni. Ma il fatto determinante, la svolta decisiva che gli apre uno scenario del tutto nuovo nel quale ritrovare e esprimere fino in fondo la propria identità smarrita, è rappresentato dal processo al capo partigiano jugoslavo, nonché inflessibile “giudice del popolo” Oskar Piskulić, del quale viene a conoscenza per caso, grazie alla sua amicizia con Giancarlo De Cataldo, giudice a latere nel dibattimento nonché celebre scrittore italiano di gialli. Piskulić, responsabile di incarcerazioni, infoibamenti, assassinii di tanti italiani (fra loro anche noti esponenti dell’autonomismo fiumano fra le due guerre) avvenuti nei territori della Venezia Giulia liberati (o “occupati”, a seconda del punto di vista) dall’Armata popolare jugoslava nel 1945, diventa in “Autodafé di un esule”, l’esempio più illuminante delle ambiguità e connivenze dei comunisti italiani con i misfatti dei titini. Un autentico “criminale di guerra”, come lo definisce l’autore, sempre difeso dalla sinistra più radicale e sfuggito alla giustizia italiana per difetto di competenza, ma non alla condanna morale, di cui Diego Zandel e la drammaturga e poetessa fiumana Laura Marchig si fanno portavoce nel loro recital Processo a Oskar Piskulić, il boia degli autonomisti-Stato libero di Fiume. Chi ha paura di un’utopia? portato insieme in vari teatri. Per inciso, alla figura del discusso esponente jugoslavo è ispirato anche il precedente romanzo di Zandel “Eredità colpevole”, uscito nel 2023 con l’editrice “Voland”.

Nell’appassionata ricostruzione di un sofferto errore ideologico di gioventù, fino all’incalzante pentimento e al furente contrattacco per “ristabilire – scrive l’autore – con la verità, quella giustizia che la legge non ha potuto o voluto stabilire”, emerge il vulnus di un’intera stagione di “politica della memoria”, a vent’anni dall’approvazione della legge sul “Giorno del Ricordo”. Ed è la presa d’atto di un sostanziale fallimento di quel tentativo di riconciliazione nazionale tentato dalle istituzioni dopo la fine della guerra fredda in un’Italia che non aveva mai fatto realmente i conti con il proprio passato, dalla discussa amnistia di Togliatti in avanti. Nessuna seria epurazione degli apparati compromessi con il passato regime fascista, anzi, addirittura il riciclaggio nelle organizzazioni collaterali alla Nato, come Gladio, di tanti manovali della galassia nera. Nessuna abiura né punizione dei criminali di guerra italiani in Africa e nei Balcani. Ma, al tempo stesso, nessuna seria autocritica da parte dei comunisti italiani per l’appoggio incondizionato dato al compagno Tito nella violenta campagna di annessione di Istria, Fiume e Zara alla nuova Jugoslavia. Altro che “memoria condivisa”, che è già una contraddizione in termini. Non si è mai profilata neppure – a parte l’abortito tentativo di una commissione mista italo-slovena di storici all’inizio del 2000 – una possibile “storia concordata”, in cui ritrovarsi affratellati dal riconoscimento dei reciproci errori e dal desiderio di educare le giovani generazioni al rispetto delle altrui ragioni e sentimenti. È mancata , infine – è inutile girarci intorno fingendo che il problema non esista – la giusta considerazione di quella parte della legge 92 del 2004 che invita a ricordare, oltre che le foibe e l’esodo, anche “la più complessa questione del confine orientale”. E qui, più che ai custodi delle memorie “parziali”, la parola andrebbe lasciata, per l’appunto, agli storici di professione. Gli unici capaci di affondare l’analisi andando alle radici dei problemi, all’origine dei conflitti e dei contrasti interetnici che hanno purtroppo costellato nel Novecento una terra bellissima ma complicata, o arricchita secondo noi, dall’intreccio di popoli, culture, lingue, tradizioni, differenti, sì, ma non necessariamente antagoniste.

Valerio Di Donato
Valerio Di Donato, giornalista e scrittore. Ha lavorato a lungo al "Giornale di Brescia", occupandosi di politica interna e estera approfondendo in particolare le vicende dell'area balcanica. Ha pubblicato due libri: "ISTRIANIeri. Storie di esilio", uscito nel 2006 con "Liberedizioni" di Gavardo, una serie di racconti di vita vissuta concernenti la storia degli esuli giuliano-dalmati e non solo. Nel 2021 ha esordito nel romanzo storico con "Le fiamme dei Balcani", per i tipi di "Oltre edizioni" di Sestri Levante.

1 COMMENT

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here