I partiti sovranisti, ma in generale le platee dei partiti al governo manifestano non raramente un concetto deformato di democrazia. Non è casuale se – all’occasione – si limitano a citare in varie forme, ma castrandolo orribilmente, il primo articolo della Costituzione dove si legge: “la sovranità appartiene al popolo”.
Omettono di concludere “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Senza la necessaria specifica, un leader popolare, meglio se si tratta di un trascinatore di folle, sarebbe autorizzato a considerarsi al di sopra della legge, soltanto perché gode dei favori dei suoi elettori, anche quando viene scoperto a violarla. Questo leader si riterrebbe “unto” di un’investitura che lo renderebbe inattaccabile. Se preferite, è come se disponesse di una illogica vaccinazione anti-tribunale. Ma non confondiamo: la popolazione definisce le proprie scelte politiche attraverso le elezioni e non va confuso il suo ruolo con le competenze del sistema giudiziario.
Per fortuna abbiamo superato l’arbitrarietà del diritto medioevale e i rei, indipendentemente da condizioni di censo, potere o notorietà, possono essere puniti con tutte le conseguenze accessorie previste. In questo contesto non si tratta di multe per divieto di sosta, parliamo di cose serie! Dobbiamo pretendere che gli uomini alla guida della nazione siano gente pulita.
Ma quando incappano nelle maglie della giustizia, in genere sanno avvalersi di tutto il già ricco strumentario che la Legge consente legittimamente: ottimi difensori, i diversi gradi di giudizio, o anche i rallentamenti dei procedimenti di giudizio che non infrequentemente portano alla prescrizione, come – ad esempio – è avvenuto in ben 8 processi a carico di Berlusconi (lodo Mondadori; finanziamento illecito ai partiti; falso in bilancio su consolidato Fininvest; bilanci Fininvest 1988-1992; caso Lentini per falso in bilancio; corruzione dell’avvocato David Mills, indotto a falsa testimonianza; rivelazione di segreto d’ufficio nel caso Unipol; corruzione con 3 milioni di euro al senatore De Gregorio, correo confesso).
Il caso di Marine Le Pen è significativo e si aggiunge ad altri esempi celebri. La giudice di Parigi che ha condannato Le Pen per aver truffato la comunità europea, ha semplicemente applicato la legge chiamata Sapin II, in vigore dal 9 dicembre 2016. Erano tempi non sospetti. Prevede l’ineleggibilità per chi viene condannato per reati “contro l’integrità”. Di solito il dispositivo viene a conclusione dell’iter processuale, ma esistono precedenti notevoli dopo il primo grado processuale, come quando aveva colpito lo stesso presidente Sarkozy.
Marine Le Pen, già nell’anno 2013 nello studio della rete tv Public Sénat si chiedeva: «Quando impareremo la lezione e introdurremo il divieto di eleggibilità a vita per tutti coloro che sono stati condannati per atti commessi durante o in relazione al loro mandato?». E ancora: «Ho sentito il presidente della Repubblica François Hollande dire che era necessario rendere ineleggibili a vita i condannati. Sono d’accordo, fa parte anche del mio progetto presidenziale. Ma lui parla solo di corruzione e frode fiscale, e perché non il resto? Perché non per favoritismi, perché non per appropriazione indebita di fondi pubblici? Perché non per impieghi fittizi?». Così Marine Le Pen si considera ingiustamente colpita da una legge che ha auspicato a lungo e che nel lontano 2012 faceva parte del proprio programma presidenziale.
L’assuefazione a considerare peccati veniali le prevaricazioni o le ruberie pubbliche commesse da certi esponenti del popolo, in nome di un inesistente principio di immunità, sono stucchevoli esempi di un degrado a cui fortunatamente la giustizia oppone la propria diga, anche quando assume connotati impopolari: in fondo è la nostra assicurazione.
È opportuno contestare la pessima abitudine di considerare imparziali i giudici solo quando appaiono solidali con il Potere politico, altrimenti sono tacciati di essere la lunga mano degli odiati oppositori di sinistra, sgradevoli “toghe rosse”.
Citiamo alcuni casi recenti e nostrani di inchieste penali messe in discussione: si va da quella al presidente ligure Toti (pena per corruzione già patteggiata!), all’inquisizione della Santanché (falso in bilancio e avvio indagini truffa ai danni dello stato); accenniamo al caso del torturatore Almasri con le ovvie rimostranze della Corte di giustizia dell’Aja, che è stato addirittura accompagnato in Libia con nostro aereo di stato, o quello conseguente all’incongruità dei Centri migranti albanesi.
I protagonisti indagati o condannati sono sempre stati oggetto di solidarietà a priori, con note penose di vittimismo, e le attenzioni della giustizia interpretate come ingerenze indebite nel campo politico. Chissà per quale mistero della fede la politica non dovrebbe correre sui binari della legalità: ma questi sono tempi bastardi, se persino un massacratore come l’israeliano Netanyahu può impunemente essere accolto con tutti gli onori dal presidente ungherese Orban, quando la Corte di Giustizia Internazionale de L’Aja, cui l’Ungheria formalmente aderisce, ha disposto a suo carico mandato di arresto per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
Ci soccorre una intuizione felice, attribuita allo scrittore e giornalista americano Bill Bryson: Il diavolo può citare le Sacre Scritture per i propri fini. Dunque si può accettare una giustizia tirata come un elastico?
Così l’opportunismo si fa strada e non viene tanto scossa la sensibilità del popolo per la gravità dei reati, quanto per aver osato mettere in discussione un leader amato, anche se patentemente colpevole: assomiglia ad una giustizia da tifoserie allo stadio. Certo nei paesi senza una solida tradizione democratica costituzionale si verificano casi di giudici al servizio dei potenti di turno, ma fortunatamente in Italia ed in Francia il sistema a cui essi fanno riferimento è ancora sostanzialmente credibile ed equidistante.
Per associazione di idee viene in mente il delitto Matteotti: fu assassinato brutalmente, perché in Parlamento aveva osato denunciare pubblicamente le soverchierie prepotenti dei fascisti. Una presa di posizione scomoda ma necessaria. Solo la Storia, non la giustizia precaria e succube dell’epoca, ha condannato il mandante dell’omicidio di un simile uomo giusto e della Democrazia. Ci ha insegnato che non bisogna scrollare le spalle quando si fiuta il pericolo di una deriva estremista. Il popolo, troppo spesso opportunista e talvolta umorale, segue allegramente la corrente del fiume impetuoso: si accorge tardi, se non intervengono opportune barriere salvavita, che viene spinto verso l’incidente esiziale di una cascata a precipizio.
Treviso 09 04 2025 – Grazie di questo contributo…