In questi giorni frastornati si susseguono le reazioni, quasi sempre alquanto impulsive, che fanno corona alla politica internazionale. L’America di Trump annuncia l’isolazionismo. Anzi, aggiunge con una certa strafottenza e in malafede che l’Europa “è nata per approfittarsi di noi e lo ha fatto, ma non ne approfitteranno mentre sono io al comando”. In pratica significa: non siamo in obbligo, non ci interessano i destini d’Europa, meno che meno farle da gendarme (sempre che non si mettano in discussione gli interessi americani). 

Dopo la doccia fredda lanciata dal Presidente, risultano scomposte e fin troppo tempestive le risposte della Commissione europea: dopo decenni di sonnacchiosa, pacifica elusione della necessità di dotarsi di un assetto unitario anche per quanto riguarda la difesa comune, oggi ci si affretta a ricercare soluzioni settoriali. Il tutto, senza che ci sia stato un proficuo dibattito all’interno delle istituzioni. Vengono ipotizzati stanziamenti fino a 850 miliardi di euro: si fanno i conti da ragioniere con gli armamenti disponibili, Francia e Gran Bretagna propongono generosamente di mettere a disposizione i propri arsenali atomici, trenta paesi “volonterosi” sono pronti a mandare i propri figlioli a difendere i 2000 chilometri di confini ucraini, non appena raggiunto un barlume di pace provvisoria.

L’impressione è quella di trovarsi con un nodo scorsoio alla gola, o con un nemico completamente impazzito che preme già alle porte. Mi chiedo: è questa la situazione oggettiva? Certamente c’è Putin che imperversa nella guerra in Ucraina, ma sinceramente fatico a immaginarlo desideroso di mangiarsi il resto d’Europa, dopo la scossa e la battuta d’arresto comunque patita in Ucraina. Inoltre, se davvero fossimo in presenza di una strana minaccia di simile portata, oltre agli eserciti nazionali disponiamo pur sempre di una forza Nato dissuasiva che è base di un’alleanza difensiva tuttora vigente.

Ritengo plausibile affrontare il problema della sicurezza con maggior strategia e minore impulsività. Tra le righe, credo che la commissione a guida Ursula von der Leyen abbia approfittato di questa situazione di incertezza diffusa, per ottenere ciò che in altri tempi, causa l’eterogeneità delle posizioni dei paesi membri europei, le sarebbe stato precluso: un passo verso un impegno comune. Letta in questa chiave tattica, come primo mattoncino verso l’unità più completa del continente, potrebbe avere anche un senso. Ma i grandi risultati non si ottengono senza una preparazione adeguata.

Dovrebbe essere fatta una seria valutazione, per definire finalmente cosa voglia significare l’Unione Europea, oltre che rappresentare un invidiabile mercato, una solida banca comune, una tradizione sociale relativamente più evoluta. Per questo è indispensabile, prima di conteggiare il numero dei carri armati o dei missili, pervenire a un dibattito anche acceso, per formalizzare ciò che ad oggi manca: un’anima e un potere decisionale europeo su questioni vitali, com’è quello – ma non solo – della sicurezza e della difesa. È tempo di progettare un federalismo non ingessato dagli egoismi nazionali. L’Europa unita non può essere solo quella, per dire, delle norme sulle etichette alimentari, o quella del respingimento degli emigranti abusivi. Spingere i singoli stati ad aumentare le proprie dotazioni nazionali militari, oltre ad essere un dispendio economico enorme e inefficace, risulta persino rischioso sul piano politico.  In alcuni paesi europei si stanno purtroppo affermando forze allarmanti e reazionarie che hanno un tragico passato di bellicosità latente nel proprio Dna. Una difesa comune, concepita su basi rigidamente europee, potrebbe temperare con maggior saggezza le spinte disarmoniche che potrebbero prendere il sopravvento in particolari contesti politici o in alcuni momenti storici, dove si potrebbero addirittura rinnegare i principi di fratellanza tra nazioni vicine.

 In ogni caso una difesa efficace, anche spingendo maledettamente l’acceleratore su tali spese, non si realizzerà se non in un arco temporale di alcuni lustri. Dunque calma, ragazzi: c’è spazio per una sana riflessione comune necessaria.

Non tutti sanno che l’Italia è sesta nella classifica mondiale dei paesi esportatori di armi, specie pesanti, e che nell’ultimo quinquennio (2020-2024) è stato registrato un incremento del 138% (quota del 4,8% sul totale mondiale). È quanto si evince dall’ultimo rapporto del Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), l’istituto internazionale indipendente specializzato nella ricerca su conflitti, armamenti pesanti e disarmo. Per le nostre industrie, in particolare Leonardo e Fincantieri, il business potenziato della sicurezza può rivelarsi interessante, ma nel contesto di un Paese indebitato significa – svelati i giochetti dei numeri – rinunciare a 30 miliardi di investimenti in sanità e spese sociali urgenti.

Dunque Trump e la sua buona compagnia stanno ottenendo dei risultati insperabili a breve: sono state abbandonate le illusioni (o le speranze) in un mondo sinceramente pacifico. Fino a poco tempo fa erano incentrate su obiettivi vitali come il contenimento dell’aumento di temperatura nel globo, o la riduzione dell’inquinamento e dell’indigenza. Ora il “nostro” americano sta ottenendo con una brutalità inusitata di imporre una nuova agenda politica mondiale: quella dove la partnership si trasforma in sudditanza esplicita dei paesi più deboli verso il tradizionale forte alleato. E qui l’Europa deve battere un colpo, se esiste.

Trump ha anche promesso di chiudere la questione Ucraina in poche settimane: lo farà a modo suo, spingendo il paese aggredito ad accettare una pace ingiusta. Strizzerà l’occhiolino alla Russia, avendo come contropartita un suo allontanamento dal temibile concorrente cinese. Indurrà l’Europa a mutare le proprie priorità e la costringerà a concepire una militarizzazione, comunque ancillare rispetto agli Stati Uniti. Trump ridurrà le spese dirette americane e in più – cosa assai gradita alle lobby dei fabbricanti d’armi statunitensi – l’Europa aumenterà le importazioni da quel paese, almeno per gli asset strategici ad altissima tecnologia. Bingo.

Il governo italiano, formalmente a fianco dell’Ucraina, si atteggia a mosca cocchiera e fa sue le ragioni crudeli di Trump.  Così la premier Giorgia Meloni afferma in Parlamento, in sintesi: “Sosteniamo Trump, leader forte che può garantire pace giusta e duratura… Con questa amministrazione non vedremo le scene di debolezza occidentale che abbiamo visto per esempio in Afghanistan.” Un poco di ragione ce l’ha, nel caso, a stigmatizzare il comportamento americano precedente (del resto, non infrequente), ma sbaglia le conclusioni Già, finalmente c’è Trump Superman.

Brava Giorgia! Dopo le sue risibili fatiche di mediazione, dimentica dei modi autoritari e talvolta spietati del muscolare campione oltreoceano, merita un giusto riposo: manca solo lei nel provocatorio video-spot che Trump, quello della pace giusta, ha girato per simulare anche il futuro di Gaza, mentre i profughi correvano qui e là senza posa, come topi sotto le bombe. Liberata quella terra dagli scomodi, pezzenti palestinesi e trasformata in una Miami mediorientale per riccastri, anche Giorgia Meloni potrebbe finalmente sorbirsi una bibita rilassante, sdraiata sulla spiaggia a fianco del rassicurante Donald, insieme a Netanyahu.

Che ci guardasse in faccia lealmente, senza piegare la testina, in gesto sornione e accattivante! Non c’è da attendersi, ribadisco, una pace giusta da un leader sensibile che ha promesso un nuovo “inferno”, per piegare la resistenza di Hamas: ha dato via libera ai suoi alleati israeliani di bombardare ancora la martire Palestina. Soltanto nella notte tra il 17 e il 18 marzo 2025 sono morti altri 400 civili, di cui oltre 100 erano bambini e la strage prosegue. È un momentaccio bastardo, questo presente: con una premier che disconosce persino le parole di alta intuizione politica contenute nel Manifesto di Ventotene per un’Europa moderna e ne stravolge il significato complessivo profondo. Invito i nostri lettori ad un’operazione di verità, cioè quella di leggere il testo integrale, solo 14 paginette, figurandosi il contesto storico in cui furono scritte:

Solo così si smaschera la piccineria furbetta usata dalla Meloni, per le proprie convenienze di modesto cabotaggio. Del resto sappiamo che fu un italiano a inventare il fortunato slogan: il fine giustifica i mezzi. Gli allievi hanno imparato proprio bene.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

1 COMMENT

  1. Penso che solo il fantomatico “Protocollo dei Savi di Sion” abbia ricevute letture tanto maldestre quanto volgarmente interessate e strumentali di quella recente del “Manifesto per un’Europa libera e unita”, ovvero il cosiddetto Manifesto di Ventotene.
    Secondo me chi ha imboccato la presidenta si era fatto fare un “sunto orientato” da ChatGPT o simili

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