L’affermazione virgolettata del titolo è nientemeno che di Enzo Ferrari, uno che certo non sprecava complimenti per automobili che non fossero le sue. Ma, come tutti, anche il signore di Maranello rimase affascinato dalle linee straordinarie di questa granturismo inglese, perfetto connubio di eleganza e sportività. Presentata in versione coupé o FHC (Fixed Head Coupé) due posti al salone di Ginevra nel marzo del 1961, fece subito sensazione e segnò un punto di non ritorno nello stile dell’automobile sportiva. La linea, capolavoro di Malcom Sayer, era ricca di curve aggraziate ma allo stesso tempo muscolose e aggressive.
Il lungo cofano anteriore, sotto al quale si celava un possente sei cilindri in linea serie XK da 3.800 cc alimentato da tre carburatori SU HD8 da 265 CV e abbinato ad un cambio meccanico a quattro marce, includeva i parafanghi e per accedere al motore l’intera parte anteriore si ribaltava in avanti. I fari carenati, la piccola bocca ovale che rimandava alle mitiche Jaguar D Type da corsa degli anni Cinquanta e le magnifiche le ruote a raggi con gallettone centrale caratterizzavano subito la vettura.
L’abitacolo compatto era dotato di parabrezza panoramico con tre tergicristalli separati. I sottili fanalini posteriori spuntavano da sopra il paraurti posteriore mentre sotto la targa facevano capolino i due tubi di scarico. Insomma, non si era mai vista prima una automobile simile! Gli interni di tipo sportivo erano piuttosto sobri con una coppia di sedili di forma arrotondata senza poggiatesta. Dietro al grande volante in legno troviamo contagiri e tachimetro/contachilometri. Al centro il pannello in alluminio del cruscotto con l’avviamento a pulsante, i comandi delle luci azionati da levette e gli indicatori secondari.
I primi esemplari, realizzati tra il 1961 ed il 1962 (flat floor) avevano il pianale piatto in corrispondenza dei piedi che limitava ulteriormente lo spazio a disposizione. Dunque, abitabilità non proprio ideale (anche a causa del calore provocato dal motore) ma poco importa perché siamo alla presenza di un vero e proprio mito dell’automobilismo mondiale. Oltre alla linea e alle prestazioni, la terza grande dote della E Type fu il costo contenuto perché, secondo la tradizionale politica commerciale Jaguar, la vettura veniva venduta ad un prezzo nettamente competitivo rispetto ad altre sportive dell’epoca.
In Italia ad esempio costava 4.350.000 lire, contro i 5.800.000 lire della Ferrari 250 GT Cabriolet o i 7.500.000 lire dell’Aston Martin DB4 Vantage. Fino al 1975 ne furono prodotti oltre settantamila esemplari in tre serie comprese le spider, con continui aumenti di cilindrata e modifiche estetiche non sempre riuscite tanto che la prima serie del 1961 resta ineguagliabile per la purezza di linee ed è ovviamente la più ricercata dagli appassionati.
Il legame inscindibile della Jaguar E Type con il personaggio di Diabolik nasce nel 1962, quando le sorelle milanesi Angela e Luciana Giussani inventano il fumetto con il ladro solitario dagli occhi di ghiaccio che fugge imprendibile dopo i colpi sulla sua E Type nera, vanamente inseguito dall’ispettore Ginko che utilizza una Citroën DS 19 di servizio. Al cinema Diabolik appare invece per la prima volta nel 1967 con il film Danger: Diabolik diretto da Mario Bava, uno dei maestri del thriller italiano. Ma è la trilogia su Diabolik diretta dai Manetti Bros uscita tra il 2021 e il 2023 che rinverdisce il mito del criminale in maschera nera e fa ritornare l’attenzione del grande pubblico sulle splendide linee della Jaguar E Type, oltre che sui magnifici occhi di Miriam Leone che interpreta Eva Kant, la bionda compagna dell’inafferrabile ladro.
Treviso 13 03 2025 – Grazie di questo contributo. Una vettura sempre mitica…