In occasione dell’8 marzo, Eurispes (Istituto di studi giuridici economici e sociali) ha promosso e realizzato un’indagine conoscitiva sui modi e le forme in cui si svolge la vita delle donne italiane. I risultati mettono a fuoco tre coppie oppositive di comportamento e precisamente: privato e pubblico, famigliare e sociale, genitoriale e lavorativo. Come si vede, il nucleo attorno a cui si dipana la vicenda della donna oggi è riconducibile dal vecchio tormentone delle pari opportunità. In effetti il dato più incredibile, emergente da questa come da altre indagini (Rendiconto di genere elaborato dal Civ. Inps 2025), ci consegna una certezza sulla quale, per altro, non esiste dissenso politico: quasi la metà delle donne sono pagate il 40% in meno degli uomini, oltre ad avere contratti precari, carriere bloccate e maggior difficolta di accedere al credito. Più in dettaglio, una donna su quattro riesce a risparmiare (26,3%), ma il 36,9% afferma di dover attingere ai risparmi per arrivare a fine mese e solo meno della metà (43%) riesce ad arrivarvi senza difficoltà.
Questo stato di cose ci conferma che ostacoli contro il lavoro femminile, in forma più o meno strisciante, sono un’emergenza che merita una decisa presa in carico da parte della politica. Storicamente questi ostacoli affondano le loro radici in tempi lontani, in pregiudizi così forti da essere acriticamente vissuti anche dalle vittime, appunto le donne.
Non occorre spingersi tanto oltre, è sufficiente fermarsi al tempo dell’unificazione del nostro Paese nel 1860. Allora, com’è noto, l’istituzione della scuola pubblica portò all’ affermazione del principio dell’obbligo di istruzione per bambini e bambine, dapprima da 6 a 8 anni (Legge Casati 1859), più tardi da 6 a 9 (Legge Coppino 1877).
La legge Casati, in verità, non distingueva tra i programmi delle scuole femminili e quelli delle scuole maschili, né tra le materie da insegnare. Tuttavia, nelle Istruzioni ai maestri delle scuole primarie sul modo di svolgere i programmi (1860), elaborate dall’ispettore trevigiano Angelo Fava, veniva raccomandato di “aver riguardo alla direzione particolare di che abbisognano le fanciulle, acciò che l’istruzione riesca in tutto appropriata alla loro condizione”. Più precisamente, mentre “le nozioni che si pongono nelle scuole elementari ai fanciulli sono destinate ad essere o fondamento degli studi classici, o preparazione alle diverse professioni (…) alle donne la cultura intellettuale deve avere quasi unico fine la vita domestica, e l’acquisto di quelle cognizioni che si richiedono al buon governo della famiglia della quale esse formar deggiono l’aiuto e l’ornamento”.
In altri termini, la maestra doveva tener conto del “minor tempo “che si concedeva alla fanciulla per lo studio, per cui nella scelta dei temi veniva raccomandato di non scordarsi mai “della cerchia modesta entro cui deggiono aggirarsi i pensieri e gli affetti del maggior numero delle donne”.
L’idea che alle alunne femmine dovesse essere riservata un’istruzione inferiore non era giustificata, però, solo in previsione della loro vita futura, ma, cosa ben più grave, anche dalla convinzione dell’esistenza di un divario naturale di intelligenza fra i due generi, essendo implicita la superiorità dei maschi. È quanto viene confermato, paradossalmente, da questa lettera della maestra Angelina Frattin, insegnante nella scuola elementare di Mogliano Veneto, che, con un lettera, segnalava al sindaco l’opportunità di ridurre l’uso del sillabario nel modo sottoindicato:
Illustrissimo Signor Sindaco, Mi faccio un dovere di riscontrare il pregiato foglio di S. V. in data di Sett. 1888, e mi permetto solo di osservare in proposito che il testo ora usato come Sillabario nella prima sezione riesce per le bambine più difficile, tanto per la lettura che per la spiegazione, a confronto dei testi proposti per la lettura nelle Sezioni 2° e 3°. Ora io proporrei di modificare detto sillabario in questo modo: lasciando, cioè, inalterata la prima parte, fosse la seconda o, meglio, fossero le ultime pagine ristampate con caratteri di maggiore dimensione, tanto che le alunne potessero più facilmente rilevarle. Ci sarebbe anche qualche cosa a ridire in quanto ai concetti espressi in quelle pagine, che ‘per la massima parte riescono di difficile intendimento per le bambine, ma sta, a mio parere, al senno dell’insegnante di superare le difficoltà maggiori senza danno del gran precetto didattico “Leggere per intendere”. E nella massima considerazione mi dico Di V.S. Illustrissimo Devotissima Angelina Frattin, Venezia 1 ottobre 1888
Più che una guida intellettuale, le Istruzioni raccomandavano alla maestra di svolgere un ruolo educativo e, per questo, non dimenticare mai “ch’ella tien luogo di madre alle sue alunne”. Da ciò l’importanza dell’insegnamento dei lavori donneschi prescritti per “non meno di un’ora ogni giorno e non maggiore di due”, con la precedenza ai “ lavori di maglia e di cucito reputandoli necessari ad una ben ordinata famiglia”, mentre dovevano essere esclusi “ i lavori di semplice ornamento”.
Queste vicende del passato, così distanti dal tempo in cui viviamo, possono farci sorridere per la loro carica di ingenuità. Se, però, con un po’ di senso critico le colleghiamo agli esiti delle indagini sulla condizione femminile su richiamata, ci consegnano il senso autentico delle discriminazioni odierne. Queste derivano da pregiudizi così radicati da diventare convinzioni tacite che, anche se con minor forza, continuano condizionare i nostri comportamenti. Solo coltivando la memoria si potrà trovare un senso ed individuare la via per ridisegnare un mondo migliore, più giusto, dove il principio dell’uguaglianza sia un valore condiviso e praticato evitando che le “pari opportunità” diventino uno slogan ad esaurimento.
Treviso 17 03 2025 – Grazie di questo contributo…