In questo nostro presente sbrigativo, dove spesso manca un’attrattiva autentica all’approfondimento, rischiamo di accontentarci di notizie che sono poco più di titoli di giornale, magari fidandoci di fonti che a priori consideriamo “dalla parte giusta”. In tale pressapochismo, spesso è proprio la verità storica a fare le spese e perdiamo interi brani utili a comprendere, sepolti nel cumulo dei luoghi comuni, dei pregiudizi, o del politicamente corretto.

Si usa dire che, finalmente, dopo la fine delle dittature balcaniche, si sono aperti i confini orientali e un’aria di fratellanza spira da est ad ovest e viceversa. In questi giorni festeggiamo rasserenati la città della cultura europea 2025 a Gorizia, insieme alla contigua Nova Gorica slovena. Eppure, se abbiamo effettivamente recuperato uno spazio libero al transito turistico e commerciale, alla comprensione tra le genti di buona volontà, esiste ancora una barriera invisibile che ci impedisce di recuperare appieno il significato degli accadimenti che legano la nostra penisola ai vicini stati della cosiddetta ex Jugoslavia.

È sempre impresa letterariamente ardua quella di parlare in un’opera di persone assai note, dalla statura etica e morale rilevante, soprattutto quand’esse sono ancora viventi: il rischio è di costruire una stucchevole rappresentazione dai tratti oleografici o, viceversa, di evidenziare le umane contraddizioni ridimensionando i meriti.

Valerio Di Donato è un giornalista di razza, per anni acuto cronista nella sezione interni/esteri del Giornale di Brescia. Ha dedicato una parte importante della propria attività e indagine a comprendere le intricate, quanto spesso misconosciute dinamiche politico-sociali della galassia degli stati ex jugoslavi. Con il nuovo libro “LA VIA DI EMILIO” (Ronzani Editore – 2025), dedicato alla vita di Giacomo Scotti, l’autore ha svolto con sapienza l’amabile compito di far risaltare una figura di intellettuale scomodo, a suo modo grandiosa. Ha privilegiato la forma del romanzo, anziché quella dell’algida biografia, assicurando alle pagine una gradevole leggibilità, ma mantenendo una fedele e rigida aderenza alle vicende storiche e personali del protagonista. Per la stesura di quest’opera ha scelto una scrittura coinvolgente e prodiga di stimoli. La via di Emilio ripercorre la vita feconda di Emilio Sergi, alias dell’intellettuale Giacomo Scotti, che nel dopoguerra ha messo radici nella città di Fiume e da lì ha seguito le complesse dinamiche del mondo jugoslavo, in cui ha scelto di vivere, anche nei suoi risvolti oscuri.

Nato in Campania, aderente alla promessa di liberazione che conteneva la fede comunista, nell’ultimo dopoguerra, quando ancora era diciannovenne (per l’epoca un minorenne) aveva risalito la penisola ed era approdato controcorrente a Fiume dopo inevitabili peripezie, un po’ per caso un po’ per scelta. Si è insediato nella principale città istriana, dove esisteva una residua comunità di italiani, proprio quando era ancora in corso l’esodo forzoso, in senso inverso, degli italiani residenti da secoli in Istria e Dalmazia, spinti dal clima di terrorismo del governo di Tito. Un episodio conseguente al passaggio del territorio sotto l’autorità jugoslava. Una pagina storica vergognosa: l’allontanamento di oltre 350.000 connazionali, segnato da contraddizioni, incomprensione e dolore.

Quel che è meno noto è il processo, un vero e proprio esodo all’incontrario, che ha condotto italiani della penisola, come Giacomo Scotti, a scegliere di trasferirsi in Jugoslavia, affascinati dalla realizzazione di un agognato stato socialista, o spinti per necessità dalla crisi economica, come nel caso dei portuali di Monfalcone. Nel clima livoroso postbellico, l’insofferenza verso gli italiani giuliani e dalmati, scambiati per filofascisti, è sfociata nelle cruente esecuzioni alle foibe.

I nostri connazionali rimpatriati in Italia sono stati inseguiti da un’ombra cattiva, una nomea di connivenze più o meno spinte con i fascisti. Un marchio infausto che spesso li ha bollati, incomprese e vilipese vittime innocenti, anche una volta passato il confine.

Proprio per una delicata forma di rispetto verso Giacomo Scotti, l’autore Di Donato ha evitato di chiamare il protagonista del proprio romanzo col suo nome reale. Si è avvalso di uno pseudonimo, appunto Emilio Sergi, ad evitare fraintendimenti. Un merito precipuo di Valerio Di Donato è quello di aver riportato alla luce, perdurante la disattenzione in Italia, il percorso esistenziale di un uomo controcorrente di rara limpidezza e dalla schiena diritta. Giacomo Scotti, oggi novantaseienne, è un esempio vivente di amore per la verità, costi quel che costi, non disgiunta da una poliedrica passione per la scrittura, nelle sue declinazioni di prestigioso narratore, saggista, poeta e giornalista scomodo. Scotti ha iniziato a collaborare fin dal suo arrivo in Croazia con i giornali locali in lingua italiana, come La voce del popolo. Nella sua lunga vita, oltre a diverse centinaia di opere, ha prodotto alcuni saggi di fondamentale importanza, rischiando letteralmente la vita e scontrandosi perennemente con le autorità al potere, in nome di una franchezza che il regime comunista mal tollerava. Su tutti brilla per trasparenza il primo saggio pubblicato e dedicato al lager comunista posto sull’Isola Calva (Goli Otok), dove vennero internati in condizioni atroci moltissimi ex compagni comunisti di Tito, rei di non aver appoggiato la scelta del Maresciallo di distanziarsi dal regime stalinista sovietico, di cui temeva l’invasione. Ma Giacomo Scotti ha fatto molto altro, come inviato di guerra e animatore di iniziative umanitarie, pacifista nel dramma irrisolto delle guerre croato,serbo-bosniache degli anni ‘90.

Dunque Giacomo Scotti è stato guardato con sospetto prima dalle autorità italiane, che non accettavano la sua scelta controcorrente di entrare a far parte del mondo comunista jugoslavo, poi perseguitato da quelle del governo di Tito per aver scoperchiato le infamie commesse dal nuovo regime comunista. Oppressione fascista, comunisti contro fascisti, comunisti titini contro i comunisti filorussi: in questo intricato nodo di circostanze allarmanti si dipana l’avvincente narrazione de La via di Emilio.

Emilio è ritratto mentre vive con raggiunta serenità il crepuscolo della sua esistenza, circondato dalle mille attenzioni della moglie Dorina che si sostituisce e compensa, nella quotidianità domestica, le inevitabili manchevolezze senili del marito. Emilio è circondato dalle proprie carte, i mille e mille fogli, i lavori conclusi e quelli abbozzati, sparsi nel suo studio- guai a chi li tocca – in un ordine disordinato che solo lui può dominare. È un’età di riflessioni, la sua: se il fisico non produce abbastanza energia e gli acciacchi lo insidiano, la mente vivace rielabora continuamente il suo passato. In ricercata solitudine spesso fa capolino la Voce, che Emilio chiama confidenzialmente Robertino, proprio come il cantante prediletto Roberto Murolo: ma qui non canta canzoni appassionate e insinuanti come Cu’mme. È una voce del tutto interiore: a volte discreta evocatrice di ricordi, a volte indagatrice, a volte persino impertinente provocatrice. Sarà proprio la Voce a condurre Emilio a ripercorrere puntualmente i meandri della propria esistenza e a farli rivivere, anche con nuova consapevolezza raggiunta con l’età da Emilio, ora capace di guardare al passato con occhio più lucido e meno coinvolto.

Proprio questo espediente letterario, la Voce, merita un cenno ulteriore: la letteratura ci ha abituato a dialoghi interiori o flussi di coscienza, capaci di aiutare i protagonisti a far chiarezza sulla propria esistenza. Qui la Voce assume non infrequentemente il ruolo di vera e propria intervistatrice esterna: è voce interiore, ma è anche voce ipotetica e curiosa, quasi una giornalista che stimola continuamente il protagonista a rammentare, a distinguere i fatti salienti della propria vita e a ricavarne un significato da proporre al lettore. Si tratta di una scelta dell’autore Di Donato, solo a tratti un poco invadente nel modo di apparire, che ha preferito lasciare allo stesso Emilio la decisione, a volte inconscia, di far scattare questo meccanismo di auto-indagine più intima, anziché delegarlo a voci d’altri: un’ulteriore forma di rispetto della privacy. In questo gradevole romanzo di un novagenario si colgono i segni di una vitalità che non vuole scomparire: anche attraverso le sue opere, di scrittura e d’azione, Emilio ha la speranza non dichiarata di ottenere il premio di ogni uomo che si è speso: allungare la permanenza oltre la propria esistenza terrena. In fondo è la ricerca di una quasi eternità concessa dalla speranza. Come direbbe Joice nell’Ulisse:

“Oltre la soglia la coscienza dell’infinito incontaminato. Mi manca ancora una cosa. A chi posso chiederla? Devo chiederla a qualcuno? Devo chiederla a me stesso? Scopriamolo. Siamo alle porte della vita. Addio. Addio. Grazie.”

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

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