Potresti immaginare questo incisore, come se fosse uscito dalle pagine di un romanzo romantico, dove si parla di artisti che si dibattono dignitosi in qualche ristrettezza, comunque consacrati senza scampo al proprio demone: spiriti liberi e creativi, generalmente incompresi, come a Parigi – dove sennò? – in un’epoca fatata a cavallo dell’Ottocento o nella stagione esistenzialista. Di certo potresti figurartelo nella propria cameretta, immerso nella lettura, dentro al letto con un ombrello aperto sopra la testa, incurante della pioggia che penetra dal soffitto, come nel famoso quadro di Karl Spitzweg: il poeta povero (1839).

il poeta povero (1839)

In ogni caso è lontana da noi la percezione che davvero esista ancora qualcuno capace di vivere d’arte, nella nostra età supertecnologiconsumista, senza l’appoggio di galleristi furbacchioni.

Qualche anno fa ebbi l’onore di conoscere il maestro Alessandro De Bei e mi considero un suo amico, benché ci vediamo poco: a volte è un sentimento che scatta in una certa comunità virtuale di reciproco riconoscimento.  Il suo atelier è annidato in un appartamentino delle case popolari in via Capuzzo 2, a Treviso: tre stanze dove è impensabile distinguere lo spazio dell’abitazione da quello dedicato al laboratorio. Se hai la ventura di capitare da lui, facendo qualche rampa di scale, ti rendi conto che l’arte non è un mestiere, ma un habitat.

De Bei tra due persone

Alessandro ha poco più di cinquant’anni e una barba da sapiente che confonde: unico indizio di un intellettuale che, invece, si nasconde dietro la propria timidezza e quando è in imbarazzo prende coraggio con un bicchiere di rosso. Oltre alle proprie opere e a poche suppellettili nei mobili che gli servono per vivere, il resto sono scaffali di libri d’arte e un’infinità di film d’autore, rigorosamente su videocassetta. Se lo spingi a parlare, con una voce da bambino educato ti sorprenderà per la profondità della sua conoscenza: sono accenni buttati qui e là, quasi casualmente, lontano dalla spocchia e mai supponenti, che ti lasciano intuire un universo continuamente alimentato da esperienze intellettuali affascinanti. Come quando ti mostra e commenta con rinnovata emozione la biografia di un suo mito dichiarato, dalle pagine arricciate in quanto sfogliata mille volte: Luigi Bartolini, l’incisore dalla vita fecondissima che contende a Giorgio Morandi e Giuseppe Vivarini la palma di maggior incisore italiano del ‘900.

Lo studio

Anche Alessandro de Bei ha scritto due opere letterarie: Il poema teatrale Per una musa ritrovata, incentrato su Arturo Martini e Giovanni Comisso e il saggio Conversazione con gli spettrila poetica di Alberto Savinio. Lui stesso ha definito quest’ultima sua opera “un viaggio argonautico”: la riscoperta di un autore poliedrico e raffinato, fratello di Giorgio De Chirico. Il viaggio argonautico di De Bei stupisce, perché collega magistralmente le arti figurative e letterarie in modo inscindibile e suggestivo, dimostrando una volta di più, se fosse necessario, la contaminazione dei generi che appartiene alle anime artisticamente dotate.

E l’arte figurativa di Alessandro De Bei? Dopo la laurea all’Accademia di Belle Arti nel 1995 e la specializzazione in tecniche dell’incisione, alla celebre scuola Internazionale di Grafica d’Arte “Il Bisonte” di Firenze, di cui è oggi uno degli incisori più rappresentativi, ha esposto sue opere calcografiche alla Galleria degli Uffizi e in diverse prestigiose mostre nazionali ed internazionali.  Ha partecipato a Biennali e Triennali di Incisione. Naturalmente le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private italiane e all’estero. Riflettono la ricchezza di un orientamento intellettuale, in cui anche il simbolismo alchemico occupa un posto rilevante. Realizza inoltre soggetti a tecnica mista o ad olio, ma eccelle nell’arte dell’incisione (puntasecca, acquaforte, eccetera).

L’originalità del segno, dai tratti apparentemente talvolta violenti e dagli esiti che contemplano l’evocazione di emozioni misteriose, non infrequentemente sconvolgenti, fanno risaltare paesaggi veneziani o ritratti umani in versioni inedite, lontane dalle iconografie stereotipate e ne contraddistinguono il carattere modernissimo.

Talvolta il Maestro si diletta in collaborazioni inusuali: come quando ha illustrato la novella Il bambino ragno di Andrea Mattarollo, realizzando un vero e proprio libro d’arte, dai grandi fogli non rilegati, stampato dalle Grafiche Antiga con i tradizionali caratteri a piombo, in soli 111 esemplari numerati.

Il bambino ragno

Nelle immagini in linoleografia contenute nel libro si trasfigurano i volti degli attori Ray Millard (interprete tra l’altro di Giorni perduti di Billy Wilder) o Peter Lorre che fu interprete del primo film sonoro di Fritz Lang, il mostro di Düsseldorf (1931), e di altre celebri pellicole con registi del calibro di Hitchcock.

Tipiche della sua produzione sono le cosiddette elegie dedicate a personalità famose: dal Casanova di Fellini a Pasolini, da Burroughs a Beckett, da Tiepolo ad Allan Poe… E poi tante altre che alludono a suggestioni e visioni oniriche, spesso sullo sfondo di note chiese veneziane. Il Maestro De Bei continua oggi il suo percorso, fiducioso nei propri mezzi e rassegnato che la sua natura di artista non può essere barattata: l’arte è una compagna esclusiva e gelosa dei propri sacerdoti.

Roberto Masiero
Roberto Masiero è nato da genitori veneti e cresciuto a Bolzano, in anni in cui era forte la tensione tra popolazioni di diversa estrazione linguistica. Risiede nel trevigiano e nel corso della sua vita ha coltivato una vera avversione per ogni forma di pregiudizio. Tra le sue principali pubblicazioni: la raccolta di racconti Una notte di niente, i romanzi Mistero animato, La strana distanza dei nostri abbracci, L’illusione che non basta, Dragan l’imperdonabile e Il mite caprone rosso. Vita breve di norbert c.kaser.

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