Termina con la terza puntata il reportage di Christian Eccher dall'Ucraina
La surreale normalità di Mykolaiv fra missili e droni
Al Teatro Nazionale Accademico Drammatico di Mykolaiv va in scena lo spettacolo di Capodanno. Gli attori si alternano sul palcoscenico, cantano, recitano e il pubblico applaude spesso e calorosamente. Durante la pausa, nel foyer, alcune signore elegantemente vestite estraggono dalla borsetta della carta argentata contenente del cibo e piccole bottiglie di vodka. Qualcuno, prima dell’inizio dello spettacolo, ha prenotato un tavolo al bar del teatro con dolci e stuzzichini. Un’abitudine consolidata fra gli spettatori di Mykolaiv è proprio quella di mangiare e bere qualcosa durante la pausa delle opere o degli spettacoli. Lo show comincia già alle 18 per via del coprifuoco che, come in tutta l’Ucraina, anche a Mykolaiv comincia a mezzanotte. La città è continuamente sotto attacco, le sirene suonano più volte al giorno. Nonostante ciò, la popolazione cerca di vivere il più possibile normalmente. Lo spettacolo di Capodanno, così come i locali pieni e lucenti di Odessa, ne sono la testimonianza anche se ricordano moltissimo le chiese barocche dell’Europa occidentale: nel ‘600 gli stucchi, gli ori, i putti, le statue celebravano la vita e il trionfo di Dio ma servivano soprattutto a coprire il Vuoto che la paura della morte all’epoca generava quotidianamente: la peste uccideva migliaia di persone al giorno, la Guerra dei 30 anni distruggeva città e campi coltivati, la Santa Inquisizione arrestava chiunque fosse sospettato di eresia e bruciava le streghe in pubblico.
A Mykolaiv, nel 2022, la battaglia per la libertà è stata durissima: i russi erano arrivati a ridosso della periferia e lanciavano granate e missili sulla lingua di terra su cui sorge la città, fra il fiume Ingul’ e il Bug Meridionale.
I cittadini di Mykolaiv e i soldati dell’esercito ucraino sono riusciti a respingere l’avanzata dei russi grazie alla propria superiorità tecnologica e al coraggio degli abitanti della città: gli ingegneri hanno utilizzato computer e cellulari per mandare in tilt i radar dell’esercito russo, molte persone sono andate a combattere con i fucili da caccia che avevano a casa. Mykolaiv continua però a rimanere sotto attacco, come se i russi volessero vendicarsi della cocente sconfitta subita. Già il 1 gennaio, all’orizzonte, verso il mare, con il vento del nord che regala un cielo terso e quasi blu, compaiono tre nubi, bianche, apparentemente innocue. La contraerea ucraina ha appena abbattuto tre missili kalibr, destinati a colpire alcuni centri della provincia e la stessa Mykolaiv. Il giorno dopo, un missile Iskander cadrà in periferia, fortunatamente in un campo e non sui palazzi circostanti. Il primo di gennaio, ad attacchi sventati, la sera cala lentamente sulla città. Il fiume Bug si trasforma in un irreale nastro rosa a causa della rifrazione dei raggi solari all’ora del tramonto.
Le stelle appaiono a poco a poco in cielo, prima Venere, verso l’orizzonte e i palazzi alti del quartiere Solyani, al di là dell’Ingul’, poi Giove, che sembra accompagnare il sole nella sua discesa verso ovest. Presto anche gli ultimi riflessi di luce scompaiono oltre la collina, al di là del bacino del Bug, che profuma già di mare. Qui, infatti, comincia il Liman, vale a dire il delta del fiume, e l’acqua è in parte salmastra. Mykolaiv si trova nel punto di confluenza fra il Bug e l’Ingul’ e l’incontro dei due fiumi è a tal punto grande da ricordare il mare. Il buio si confonde presto con l’acqua e l’umidità gela al suolo: l’asfalto diventa lucido e brilla al bagliore dei lampioni, l’erba nelle aiuole diventa bianca di ghiaccio. Fa freddo e la grande bandiera gialla e blu che sventola sul punto più alto della città, vicino all’edificio dell’ospedale, ondeggia metafisica al vento moderato del nord. La città è tranquilla, la gente è a casa, il 31 è passato e si mangiano gli avanzi del cenone di Capodanno, come nel resto d’Europa.
A un certo punto, un brusio lontano guasta l’immobilità silenziosa del cielo di Mykolaiv: il ronzio si trasforma a poco a poco in un rombo, simile a quello di un motorino dalla marmitta rotta. È uno Shaed in avvicinamento, vale a dire un drone, che gli ucraini chiamano anche scherzosamente “Moped”, ovvero motorino, proprio a causa del rumore che produce. Lo Shahed sorvola la città, a bassa quota per sfuggire ai radar, il fragore delle eliche rimbalza sulle case a un piano di via Shevchenka, i rari passanti non sanno più da che parte stia arrivando il drone, la paura fa sudare e il sudore gela lungo la schiena al freddo della sera. Si può solo sperare che il drone passi oltre e che non colpisca qualche abitazione, come è accaduto proprio in questa strada qualche settimana fa, quando un “Moped” ha centrato un negozio e lo ha distrutto (prontamente ricostruito nel giro di pochi giorn). Il drone passa oltre, va verso il fiume e il quartiere di Varvarika ma la contraerea ucraina riesce ad abbatterlo prima che arrivi a destinazione. I resti del velivolo senza pilota cadono nell’acqua e affondano velocemente. Il letto del fiume è ormai un deposito di rottami, ciò che resta delle centinaia di droni e missili che non sono riusciti a distruggere Mikolaiv nei 3 anni passati.
In palestra ad allenare il fisico e la mente
Nel centro di Mykolaiv c’è una palestra privata, costituita da un corridoio al termine del quale si trova una grande sala con le vetrate da cui è possibile ammirare uno dei tanti cortili interni della città. È aperto anche l’ultimo giorno dell’anno, dal fronte sono tornati alcuni istruttori che, un anno fa, hanno deciso di andare volontariamente in guerra. Hanno ottenuto un paio di giorni di licenza e non hanno perso l’occasione di tornare, anche se per poco, al lavoro, insieme agli amici: di nuovo, un modo per cercare e trovare una situazione di normalità in un contesto totalmente anomalo. V. ha una trentina d’anni, fa una pausa fra gli esercizi alla sbarra per parlare con me. Non è di buon umore, ha preso una multa per eccesso di velocità. Andava a 70 km/h in città e la polizia lo ha fermato. Non era però alla guida della sua automobile, ma in bicicletta. Quando i clienti della palestra presenti in sala, una ventina, sentono la storia scoppiano in una fragorosa risata e anche lui sorride. V. ha un fisico possente e la velocità con cui va in bicicletta lo dimostra. “In questa palestra, offriamo ai soldati feriti al fronte un programma gratuito per riprendere le condizioni fisiche. Non facciamo fisioterapia, ma esercizi successivi alle cure. Indipendentemente dal fatto che i soldati tornino o meno al fronte! – dice V. in maniera affabile e calma – Da noi vengono anche ragazzi mutilati, senza una gamba; con gli esercizi riescono a ritrovare l’equilibrio del corpo perso e a vivere al meglio. Lo facciamo per la vittoria, la vittoria dell’Ucraina sull’occupante russo”, dice V. con orgoglio. La palestra copre le spese per i soldati grazie ai clienti che pagano regolarmente l’abbonamento. La gran parte del profitto va così ai soldati feriti, che qui trovano non solo un luogo dove esercitarsi, ma anche amici e affetto per superare lo stress post-traumatico e la depressione successivi al ritorno a casa e al fatto di aver perduto un arto o di essere stati feriti.
Punti di vista divergenti (fra un esercizio e l’altro)
È l’ultimo giorno dell’anno e i frequentatori della palestra scherzano mentre fanno esercizi. C’è però anche spazio per discussioni serie, la guerra non permette di abbandonarsi totalmente alla spensieratezza e riaffiora continuamente nei dialoghi e negli sguardi degli abitanti di Mykolaiv. Laura (i nomi sono inventati e ho scelto appositamente nomi non ucraini per evitare omonimie, nda) ha perso il marito pochi mesi fa al fronte, nel Donbass. È stato ucciso da un drone russo mentre era “in posizione”, vale a dire in prima linea. Da allora ha avuto una profonda crisi, con attacchi di panico e crisi di fiducia nei confronti del proprio Paese e dell’esercito. “Ero fiera di mio marito quando ha deciso di partire volontario per il fronte. Un maschio non è maschio se in questi momenti non prende delle decisioni e non va a difendere la propria casa e la propria Patria. Però – aggiunge Laura con gli occhi pieni di lacrime – se ci va, poi non torna. Muore”.
A questo punto interviene Arnold, un ex soldato tornato pochi mesi fa proprio dal fronte, ferito ma vivo, e si rivolge direttamente a Laura: “La morte di tuo marito ha distrutto il tuo quadro ideologico in cui ci sono eroi, naturalmente maschi, e antieroi. La guerra è soltanto merda. Stai sprofondato settimane nel fango, con l’adrenalina che ti tiene in vita e ti droga. La guerra crea dipendenza, come i narcotici. Poi arriva il drone, come è successo a me, e se hai fortuna torni con una ferita alla gamba, altrimenti, come tuo marito, torni in una bara. E ti danno il titolo di eroe alla memoria”, dice Arnold, e aggiunge una battuta volgare che fa ridere tutti i presenti in sala. Arnold, nonostante il lungo periodo passato nell’esercito e la ferita che lo ha reso in parte invalido, non ha perso il senso dell’umorismo e ama scherzare. “Ciò non vuol dire che chi va in guerra sbagli. Ci sono andato anche io, volontariamente, ma dobbiamo guardare la situazione per quella che è, senza fronzoli ideologici: andiamo a difenderci da un invasore, e lì ammazziamo, muoriamo o veniamo feriti. Lasciamo gli eroi nei poemi greci e nelle poesie dell’’800. Davanti a un corpo umano morto, ogni costruzione mentale scompare, ogni ideologia evapora”.
Arnold è filologo e ha lavorato per un lungo periodo in una scuola di Mykolaiv. Laura risponde che continua a non capire i maschi che rimangono a casa e si nascondono invece di arruolarsi.
“E allora la guerra non ha ancora del tutto distrutto il tuo quadro ideologico – dice ridendo Arnold – Io rispetto sia coloro che vanno a combattere sia coloro che decidono di salvarsi la pelle e stan nascosti. Io stesso ho consigliato ad alcuni amici di chiudersi in casa e di non entrare nell’esercito: così come non siamo tutti dotati per lo sport o per suonare uno strumento musicale, allo stesso modo non tutti sono pronti o sono capaci di combattere e di stare al fronte. Un diciottenne che non va al fronte perché vuole continuare a vivere non è peggiore o meno eroico di un altro che decide di arruolarsi. Così come capisco chi ha potuto ed è scappato all’estero per non entrare nell’esercito”. Il dopoguerra vedrà sicuramente tensioni fra coloro che sono fuggiti e chi è dovuto rimanere perché non aveva doppio passaporto o non aveva i soldi per andare via.
In ogni guerra c’è un discorso di classe che rimane sottointeso ma che esplode successivamente, quando cessano le ostilità. Difficile che tutti gli ucraini che sono stati al fronte o che sono dovuti rimanere, spesso per mesi senza acqua ed elettricità, saranno un domani tolleranti come Arnold verso coloro che sono andati via. “E poi finiamola con questa storia che noi maschi dobbiamo per forza essere eroi – conclude Arnold con un sorriso sulle labbra – pretendete troppo da noi; dobbiamo essere soldati coraggiosi, amanti perfetti e, quando torniamo dalla guerra, pretendete anche che passiamo l’aspirapolvere e laviamo i patti!”. Le parole di Arnold suscitano una risata generale e anche Laura ride fra le lacrime. La lezione di ginnastica è quasi alla fine, dopo la doccia andiamo tutti al caffè per un dolce e gli auguri di buon anno. “Che il cielo sia tranquillo”, è l’augurio che ci scambiamo per il 2025. Oggi ci sentiamo tutti poco eroici, vorremmo solo che i russi evitassero di sparare e ci lasciassero in pace, almeno per un po’.
Al cinema con Boris Johnson
Il cinema Pionir lavora su tre linee elettriche differenti, in maniera tale che, in caso di attacco alle infrastrutture, almeno una sala sia sempre in funzione. L’industria filmica ucraina, nonostante la guerra, conosce una fioritura senza precedenti, così come la musica pop. Mai come oggi la lingua ucraina ha avuto così tanto spazio nella cultura del Paese. Il lungometraggio di stasera è una favola natalizia, ambientata sul treno Kiev-Leopoli. Ci sono la ragazza che partorisce nel vagone ristorante mentre va dal marito soldato, la coppia in crisi e l’amore che sboccia fra due giovani. Ciò che colpisce, però, è il cameo di Boris Johnson, l’ex premier inglese, che dalla stazione di Leopoli, augura buon Natale a tutti gli ucraini. Gli spettatori restano attoniti quando vedono Johnson, probabilmente incontrato per caso dal regista mentre girava il film.
La guerra sta davvero formando la nazione ucraina, con la speranza che lo Stato rimanga multietnico e multilingue anche in futuro. Questa è un’altra sfida che attende l’Ucraina post-bellica. Al cinema, in attesa dell’inizio del film, incontro Maria, una giovane attrice che ha scelto di rimanere a Mykolaiv e di non lasciare la città. Le chiedo come stia vivendo questo periodo di transizione fra l’amministrazione Biden e Trump e che cosa si aspetti dal nuovo presidente americano: “Trump è imprevedibile e sono preoccupata. Se ci costringesse a firmare una pace, venderei casa e me ne andrei. I russi arriverebbero presto a Mykolaiv, sono alle porte di Kherson, che ormai è una città fantasma, continuano a bombardarla, ormai non c’è più neanche la Croce Rossa. Ho già vissuto una volta l’incubo dei russi alle porte; qui non rimarrei, meglio morta o profuga che sotto occupazione”. Chiedo a Maria quali sarebbero le condizioni di una pace giusta: “Una pace davvero giusta sarebbe quella che obbligherebbe i russi a lasciare i territori occupati, ma questo, per ora, è impossibile. Si tracci allora una frontiera provvisoria lì dove sono le truppe, con una forza multinazionale di pace in mezzo. Nel frattempo, l’Ucraina si deve armare ed essere pronta a respingere nuovi attacchi russi. Senza le armi, l’Ucraina è finita, Putin non ha mai nascoste le sue mire: vuole tutto il sud, fino a Odessa. Per lui, l’Ucraina vera e propria è solo la parte occidentale del Paese”.
Maria è critica anche nei confronti del Presidente Zelenski: “Ultimamente, fa dirette video infinite, ma forse dovrebbe attivarsi di più diplomaticamente e raccontare la verità su ciò che accade al fronte. In ogni caso, è stato ed è un presidente coraggioso, ed è molto maturato nel corso di questi anni. Ha pagato l’inesperienza iniziale, se avesse vinto Poroshenko al posto suo alle elezioni del 2019, forse alla guerra non si sarebbe arrivati…” Le chiedo perché la pensi a questo modo, durante quest’ultimo viaggio in Ucraina ho sentito più volte l’affermazione che Poroshenko avrebbe evitato la guerra. “Perché Poroshenko era più esperto diplomaticamente. Zelenski, però, rappresentava e rappresenta quell’Ucraina giovane che vuole rompere con il passato sovietico ed è assetata di Europa”, conclude Maria. Il presidente Zelenski, in ogni caso, gode ancora di grande popolarità; è normale che, dopo tre anni di guerra, la sua popolarità sia in calo, ma tutti riconoscono il suo valore e il suo coraggio, dimostrati fin dal primo giorno di guerra, quando avrebbe potuto scegliere di scappare e rifugiarsi all’estero.
Il viaggio finisce a Odessa; prima che il treno per Uzhgorod parta, faccio in tempo a passeggiare sul lungomare, dove c’è gente che fa il bagno: è un’abitudine cristiano-ortodossa quella di entrare nell’acqua fredda alla vigilia di Natale, che qualcuno festeggia ancora il 7 gennaio, nonostante il governo ucraino abbia spostato la data della festività al 25 dicembre.
Il rombo del mare copre il fastidioso acufene che mi accompagna da Mikolaiv, dal giorno in cui il drone Shahed è passato sopra la mia testa. Certamente si tratta di un caso, le eliche del “Moped” non producono un rumore così assordante da procurare un acufene a chi sta sotto. Questo rombo che sento nell’orecchio sinistro, un sorta di ronzio fastidioso e continuo, lo porterò con me e mi farà compagnia nelle steppe ungheresi e nelle pianure della Vojvodina, vale a dire a casa mia. Sarà un simbolo perpetuo a ricordarmi della guerra che continua, anche senza di me, anche quando sono lontano da lei. È lei a essere entrata in me e difficilmente se ne andrà.
Se desiderate leggere gli altri due articoli del reportage dalla Ucraina di Christian Eccher:
Il primo articolo è stato pubblicato il 03/02/2025:
"Da Uzhgorod la tradotta diretta all’inferno"
Il secondo articolo è stato pubblicato il 05/02/2025:
"A Odessa, fra i sommersi e (per ora) salvati nel buio della periferia"