Estendere la fraternità, assecondare le occasioni offerte dalla vita. Quando siete felici, fateci caso (Kurt Vonnegut, lezione agli studenti)

Tutti – spero – ricordiamo momenti del passato in cui riconosciamo di essere stati felici, perché difficilmente ce ne rendiamo conto nel momento in cui l’abbiamo vissuta. Domandiamoci in che misura erano momenti di gioia collettiva, o momenti di passaggio come a un matrimonio, festa di laurea ecc. oppure seguivano l’uscita da un tempo problematico, come un’assenza prolungata, una crisi impegnativa sul lavoro…

La cultura umana in tutte le forme locali attribuisce importanza alla fratellanza e alla fraternità e le coltiva in forme diverse ma sempre, così avrei compreso, si spingono oltre quella genetica, “di sangue”.

Alcune forme di fraternità sono poco conosciute, fuori degli ambienti antropologici, tra queste c’è la polinesiana, suggestiva perché usa un modo icastico per dare nome al legame intimo, potente e duraturo che creano quando in mare attraversano in gruppo tempeste prolungate, sperimentano la fame, la sete e rischiano la morte: fratelli di canoa.

Sopravvivere e tornare a terra, dopo essersi salvati mettendo in comune tutte le risorse, tutte le energie, condividendo il poco che si ha in barca, cementa il legame già presente all’imbarco e da quel momento in poi si considerano l’un l’altro come fratelli, fratelli di canoa appunto.

Il legame è forte, incancellabile, impegna al mutuo aiuto, quanto quello che si ha con i fratelli di sangue, anzi anche maggiore quando con loro ci sono contese. Quando coinvolge solo due persone, recuperiamo l’idea del dividuo, del sentirsi inscindibili perché ciò che accade all’uno si riverbera con forza sull’esistenza dell’altro, partner di famiglia, lavoro, residenza…

Sentirsi fratelli di canoa è un modo di autorappresentarsi illuminante della fraternità come valore conquistato solidalmente, meritevole di un nome proprio, un legame sociale di cui essere orgogliosi.

Senza andare in Polinesia, tutti possono riconoscere qualcosa storia simile nella propria cerchia di famiglia e di conoscenze. Per esempio, qualcuno cui è stato dato il nome di un amico molto caro, morto in tragiche circostanze, un amico che ha in-segnato nella vita di uno dei genitori, per ricordarlo per sempre e che potrebbe essere riconosciuto come fratello di canoa. Qualcuno potrebbe riconoscersi come fratello di canoa, o rendersi conto di essersi lasciato sfuggire l’occasione di diventarlo. Soprattutto, tutti possiamo sentirci messi sull’avviso e pensarsi disponibili e pronti a diventarlo, ad avere la speranza che, al bisogno, altri siano disponibili a diventarlo per noi, con noi.

La fraternità è un guadagno realmente attingibile, è la chiave per realizzare l’esortazione di Friedrich Schiller: Abbracciatevi, milioni! E, aggiungo, riconosciamo di essere felici nell’abbraccio.

Certo non fu per caso che Bernstein, alla caduta del muro di Berlino, diresse l’Inno alla gioia chiamandolo Inno alla Fraternità.

Luigi Colusso
Medico, psicoterapeuta, è stato direttore del dipartimento dipendenze per l’ULSS di Treviso, ha portato a Treviso i CAT, gruppi per le famiglie con problemi legati all’alcol. E’ stato presidente regionale e vicepresidente nazionale della loro associazione. Nel 1999 responsabile per l’Advar del servizio per l’elaborazione del lutto fino al 2020, promuovendone il coordinamento nazionale. Ha collaborato con la LILT Treviso al progetto Stella Polare per le donne operate al seno. Nel 2015 è stato tra i promotori del Tavolo provinciale per la prevenzione dei gesti suicidari. Formatore per varie istituzioni tra cui il Centro studi Erickson, ha collaborato con l’università Cattolica di Milano e Brescia, recentemente anche di una docenza per il master di psiconcologia della Cattolica di Roma, sede di Treviso. Le due opere principali più recenti edite da Erickson sono “Il colloquio con le persone in lutto” del 2012, e a fine 2020 “Di fronte all’inatteso. Per una cultura del cordoglio anticipatorio”.

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