C’è sempre un aereo pronto con i motori accesi, per il dittatore accorto. Crudele, spregiudicato, cinico, odioso fin che si vuole, ma accorto. Nessuno più di lui, neppure l’oppositore più indifeso, teme la morte. O meglio, una morte violenta. Sa egli bene, per primo, che il suo potere non è intangibile, la sua fortuna non inesauribile, la sua sicurezza mai assoluta. Non c’è sofisticato sistema di intelligence che possa preavvertirlo quando la clessidra gli intimerà sbrigativamente l’ora dello sfratto. Bashar al-Assad rientra in questa categoria.
È stato l’ultimo ras di una dinastia di origine alawita (una minoranza musulmana sciita in un Paese a stragrande maggioranza sunnita) che il padre Hafez ha elevato alla massima potenza governando con pugno di ferro la Siria per trent’anni, a partire dal colpo di Stato militare del 1970 e toccando l’apice della ferocia con lo sterminio di quarantamila civili a Hama nel 1982. “Male necessario”, per lui, pur di stroncare l’affermazione crescente della Fratellanza Musulmana, in nome dell’ispirazione laica e socialista del partito panarabo Baath di cui il “leone di Damasco” – come era soprannominato in Occidente – era il leader indiscusso. Ma già un bellicoso prozio, Sulayman al – Wahhish, detto “la bestia”, aveva fatto parlare di sé guidando una rivolta anti-ottomana nel governatorato di Latakia nel 1919.
Nel 2000, il garbato ex medico oculista specializzatosi a Londra si ritrovò catapultato ai vertici del potere baathista su intimazione del genitore gravemente malato,
che aveva fatto modificare appositamente la Costituzione a suo favore, abbassando l’età per la carica presidenziale da 40 a 35 anni. Inesperto inizialmente e di natura poco incline alla politica, forse, come è stato da molti ricordato in questi giorni di bilanci riassuntivi dei suoi ventiquattro anni di regime. Ma sufficientemente freddo e previdente per non ritrovarsi un giorno a precipitare senza paracadute. Che sia stato solo più fortunato o più pavido o più furbo di Muammar Gheddafi e di Saddam Hussein, fatto sta che è riuscito a scappare da Damasco giusto in tempo, con tutta la famiglia, inseguito dall’alito della vendetta jihadista, lasciandosi alle spalle oltre un decennio di repressione spietata di ogni dissenso e di massacri indiscriminati di civili. Tale padre tale figlio, chiaro.
Ben consapevole della sorte riservata ai tiranni, Bashar si era fatto costruire una rete di tunnel segreti sotto la villa del fratello, il generale maggiore Maher al-Assad, che chiunque può perlustrare in rete cliccando i video fatti circolare sulle principali piattaforme giornalistiche. E poco importa che, a bordo di un Ilyushin Il-76T o su un velivolo della Syrian Air, sia infine decollato verso la base russa di Latakia sulla costa siriana per volare il più in fretta possibile fra le braccia del suo strategico protettore moscovita (strategico ma incapace nel frangente di evitargli la detronizzazione).
Vladimir Putin aveva ben altro a cui pensare che intervenire in forze per provare a fermare l’impetuosa offensiva del cartello di milizie anti-governative comandate da Abu Mohammed al – Jolani, scatenata dall’enclave di Idlib per terminare trionfalmente nella capitale, conquistata in appena dodici giorni dopo la caduta in successione di Aleppo, Hama e Homs.
Quale sarà il destino di Bashar, della moglie Asma e dei loro figli Zein, Karim e Hafez, e a quanto ammonti il tesoro depredato a un Paese dissanguato da guerre, ruberie e corruzione ad ogni livello, è un dettaglio di secondario rilievo per noi spettatori occidentali. Non per i nuovi leader islamisti e per il popolo siriano,
che faranno presumibilmente di tutto per cercare di recuperare le immense fortune accumulate dal despota. Solo a Mosca, il clan della famiglia che per 54 anni ha deciso la vita e la morte in Siria, potrà contare su 19 appartamenti da quaranta milioni di dollari in due grattacieli del centro di proprietà del cugino di Assad, il magnate Rami Makhlouf. Ma si calcola un patrimonio complessivo pari a 34 miliardi di dollari, mettendo insieme capitali messi al sicuro nei paradisi fiscali e lingotti d’oro, ottenuti frodando gli aiuti Onu e soprattutto trafficando il Captagon, più conosciuta come la “droga della Jihad”.
Avidità stellare, da satrapi lontani da ogni pur minima sensibilità per le drammatiche condizioni economiche e sociali di un popolo stremato e impaurito, che oggi giustamente esulta senza preoccuparsi più di tanto del tasso di libertà che la nascente teocrazia fondamentalista sarà disposta a riconoscere.
Eppure, venticinque anni fa, quando si cominciava a preparare il terreno politico e mediatico per un regale ritorno in patria del rampollo occidentalizzato dell’invecchiato Hafez, le premesse e le aspettative erano ben diverse. Le “primavere arabe” ancora lontane da venire. Il cataclisma geopolitico del Settembre 2001 – e le conseguenti guerre americane in Iraq e Afghanistan – un’ipotesi di scuola.
Con la salita al trono hashemita nel febbraio del 1999 del giovane e illuminato re Abdallah II in Giordania e l’attesa a Damasco del trentacinquenne medico oculista formatosi nel Regno Unito, una svolta liberale e modernizzatrice in Medioriente sembrava davvero alla portata. Non importa che Bashar, timido e introverso, scontasse lo svantaggio psicologico di essere il successore di “seconda scelta” del padre, a causa della morte prematura in un incidente stradale del primogenito Basil, figlio prediletto di Hafez, cui lo scettro del comando era destinato. Poteva e doveva essere lui, Bashar, l’”uomo delle riforme”.
A chi scrive, capitò di trascorrere un paio di giorni nella capitale siriana nel 1999, al seguito di una missione estiva di imprenditori bresciani interessati a sondare nuove opportunità commerciali. Fu quello il mio primo e unico viaggio ad Amman e Damasco, tanto breve quanto intenso e istruttivo (di solito non mi occupavo di Medioriente, essendo più interessato ai Balcani).
Ho proposto a “ILDIARIOonline” di ripubblicare l’articolo che firmai sul Giornale di Brescia al termine di quell’esperienza, riportando il “clima” ottimistico del momento. Come tanti altri, tornai infatti a casa con la sensazione che un cambiamento positivo fosse davvero vicino. E come tanti altri, mi sbagliai.
Treviso 18 12 2024 – Ho letto con molto interesse questo tuo articolo e ti ringrazio…