È arrivata la smentita. Ovviamente per le polemiche che stavano montando. Un pesce d’aprile arrivato in ritardo nelle redazioni, si affrettano a dire. Ma ci hanno (ri)provato. Di sicuro c’è una cosa che non possiamo assolutamente permetterci: essere amministrati da politici ignoranti. Perché i costi per la nostra comunità sarebbero enormi in termini non solo culturali, ma anche economici e sociali.

I fatti. La notizia che a Venezia rischiano di non arrivare i soldi del PNRR per costruire il Bosco dello Sport dove dovrebbe sorgere anche il nuovo stadio, nei giorni scorsi ha messo in agitazione la giunta lagunare e un assessore ha rispolverato una vecchia idea del sindaco Brugnaro per trovare le risorse necessarie: vendere la Giuditta II di Gustav Klimt. Non una battuta, ma una proposta seria. Nell’ottobre del 2015 il sindaco la buttò lì: per fare cassa si potevano vendere delle opere d’arte non legate alla storia della città, come Il rabbino di Vitebsk di Marc Chagall e, appunto, la Giuditta II. In quell’occasione Brugnaro era stato molto esplicito e colorito: “Prima de morir vardando un quadro vendo el quadro”. Ci fu un’alzata di scudi contro una proposta giudicata da (quasi) tutti indecente e non se ne fece nulla.

Judith_II – Gustav_Klimt

Ora ci riprovano – salvo poi fare retromarcia – perché l’opera di Klimt, valutata allora tra i 70 e gli 90 milioni di euro, “adesso varrà sicuramente di più” assicura l’assessore in questione (il cui nome non cito per carità di patria). Va detto però che il fatto che Venezia sia guidata da amministratori sciagurati non è un problema solo dei veneziani, perché Venezia appartiene al mondo. Anche se è altrettanto evidente che si tenesse un referendum per scegliere tra un quadro e uno stadio, i veneziani sceglierebbero senza dubbio lo stadio.

C’è da dire che l’opera in questione qualche legame con Venezia ce l’ha. Il maestro della secessione viennese la presentò in una sala personale alla IX Biennale, nel 1910, assieme ad altre 21 opere. Un’opera straordinaria, sorella ma non gemella della versione del 1901, che piombò in laguna e fece molto clamore negli anni in cui la Biennale, guidata da Antonio Fradeletto, faceva ancora fatica ad aprirsi alla modernità e ad accettare artisti innovativi. Nel 1905 un’opera di Picasso venne tolta dal padiglione spagnolo perché poteva dare scandalo. Il comitato incaricato delle acquisizioni per Ca’ Pesaro acquistò la Giuditta II per 9.900 lire. Il quadro divenne ben presto il simbolo della Galleria Internazionale d’Arte Moderna. Ma quando la politica è miope, tutto può essere messo in vendita. Anche i simboli.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

2 COMMENTS

  1. Dalla grettezza non ci si salva: oggi si deprezza l’arte, nostro massimo patrimonio nazionale, continuamente si offende il paesaggio e si consuma il bel suolo d’Italia. Una società che vive di improvvisazione e considera il valore di un bene solo con la stima del prezzo di mercato, mette in pericolo il significato della nostra tradizione di bellezza, ci fa vergognare ed è pronta a consegnare al futuro un territorio arido, commerciale, senz’anima.

  2. Come per l’enorme patrimonio immobiliare Fs nel 1991 e sul Britannia nel 1992 chi vince o e’ eletto svende tutto tanto non e’ suo in cambio di arricchimento privato. Questo vale per l’IRI, la Magneti Marelli, l’Alfa Romeo, la Montedison, ecc. la Fiat che era dello Stato in concessione degli Agnelli. Ma anche per le ricchezze dei Partiti e Sindacati in cambio dell’abbandono della contrattazione e l’orgia della concertazione.

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