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Ci sono diverse ragioni che mi portano a riflettere sulla Costituente Congressuale che il Partito Democratico, insieme ad Articolo 1 e ad altri movimenti, sta portando avanti.

Non sopporto infatti le discussioni che partono soltanto da posizioni precostituite oppure quelle che divengono uno sfogatoio di chi non sa più come esprimere i propri sentimenti e il proprio modo di vedere le cose.

Ecco quindi una serie di convincimenti che ritengo utile affermare e mettere in discussione.

* Innanzitutto sono convinto della necessità di ritornare ad avere luoghi associativi fisici anche per quanto riguarda la politica in questo Paese.

Pensare che il dibattito possa esaurirsi nelle deleghe elettive ai Partiti o ad altre strutture organizzate vuol dire privare la democrazia di un elemento fondamentale: la partecipazione.

E la partecipazione non è e non può essere soltanto virtuale.

Il web è uno strumento, non un oggetto del desiderio.

Serve a rendere possibile una ulteriore forma di presenza, non a sostituire quella che mette a confronto i diversi soggetti visivamente, contestualmente, in un luogo dato, con la possibilità di replica dal vivo, con la certezza quindi di capire non solo i termini progettuali ma anche la sincerità, il trasporto, il modo di esprimersi, l’empatia.

Senza i Partiti intesi realmente anche come persone che partecipano, come spazio per dibattiti reali, come incrocio delle opinioni, come luoghi di sintesi, come occasione per mettere a conoscenza gli altri di cosa si pensa della realtà non c’è una democrazia piena e realizzata.

Ricordiamoci che il dibattito tra persone fisiche rende possibile, proprio con l’empatia e con la reciproca conoscenza il cambiamento di una posizione presa, la sintesi di ragionamenti diversi, la non cristallizzazione nelle opinioni.

Ed allora il congresso di un Partito è un fatto decisivo e di grande significato.

Non mi basta la consultazione telematica dei 5 Stelle e non mi è nemmeno sufficiente il ragionamento portato avanti solo alla luce della presenza e delle idee di un leader come accade ad esempio per Italia Viva e per Azione.

Leggendo i risultati dei congressi dei circoli del Partito Democratico mi accorgevo contemporaneamente di due sensazioni: da una parte la soddisfazione profonda perchè esistevano nei fatti questi luoghi di confronto e di discussione e dall’altra la constatazione preoccupata per il numero dei partecipanti che si rivelava spesso misero, limitato, parziale.

Per non parlare della media età che si riscontrava molte volte come troppo elevata rispetto alla composizione delle varie generazioni di un territorio.

A sintesi di questo primo punto potrei dire che il Partito Democratico segna una presenza nel Paese straordinaria ma ancor limitata nella quantità dei componenti e mi par di capire che questo modo di pensare un Partito – che alcuni ritengono troppo novecentesco e superato – sia invece l’unico modo che permette di essere sul serio democratici ed espressione fattiva delle realtà.

* Il secondo elemento che voglio indicare è che mi pare sia giunto il tempo di limitare i processi di delega.

La delega è uno strumento fondamentale che trova nei momenti elettorali la verifica fiduciaria di chi vota per chi è eletto.

Negli ultimi anni questo meccanismo ha perso radicalmente valore per il sistema elettorale che oggi vige.

Infatti si è portati a scegliere più per evitare che per proporre.

Basti pensare alla stessa campagna elettorale del PD che fin dall’inizio ha chiesto il voto al partito per impedire l’avanzata della destra.

E su questo ha portato avanti il famoso “voto utile”.

E’ evidente che solo un cambiamento della legge elettorale in senso proporzionale può riportare ad una credibilità nel rapporto tra votante e partito proprio perchè potrebbe permettere di nuovo un processo di identificazione.

Si dirà che ciò rischia di divenire un elemento di negazione della governabilità del Paese.

Sembra però a chi scrive che questa osservazione sia priva di significato proprio alla luce della debolezza dei governi che in Italia si sono manifestati con questa legge elettorale nei molti anni trascorsi.

D’altra parte è invece andato avanti l’abbandono del voto, divenuto ormai pari al 50% della popolazione.

Esso ha evidentemente due cause: da una parte il disamore della politica e la mancanza di fiducia per i partiti e dall’altra l’impossibilità di identificazione partito/elettore prima citata.

Io ritengo che a sinistra questo disamore per la politica e per il voto sia causato anche dall’assenza di strutture politiche di riferimento a livello territoriale ed aziendale.

Un circolo, una sezione sono oggettivamente un momento di osservazione nel territorio e nel luogo di lavoro, sono un campanello d’allarme che segnala situazioni di disagio sociale, culturale o economico.

Sono un terreno di confronto che permette di esprimere la concretezza delle proposte che si costruiscono per le fasi elettorali e contemporaneamente un terreno di dibattito che evita proprio una visione localistica perchè riconduce la discussione dal particolare al generale.

I mezzi di informazione, nuovi e vecchi, come le televisioni, le radio, i giornali quotidiani e periodici, i social, sono straordinari strumenti che permettono espressioni del pensiero e della realtà ma sono anche luoghi in cui si esprimono poteri, pubblicità, scelte private che vanno considerati per quello che sono.

Guai a pensare agli strumenti di comunicazione come un puro soggetto autonomo e credibile in ogni sua parte.

Si tratta invece di “strumenti” importanti, necessari ma che debbono essere conosciuti come tali e non come pura espressione della realtà.

Ecco perchè combattere l’abbandono del voto vuol dire aprire terreni nuovi di confronto e di discussione come ad esempio quelli che offre il Congresso del PD.

E ciò non può essere soltanto delegato ad altri e cioè ai leader.

Va condotto invece in prima persona con il massimo di coinvolgimento possibile.

* Il terzo ed ultimo elemento che voglio sottolineare è quello che cerca di separare l’esistenza di un Governo dall’esistenza di un Partito.

Si sta infatti giungendo ad un pensiero comune – che condivido pochissimo – che rappresenta l’esistenza di un Partito soltanto come la condizione fondamentale ed unica per governare o per tentare di governare.

Il Partito si identifica quindi spesso e volentieri con i Consiglieri eletti, con i Sindaci, con i Presidenti di Regione, con gli Assessori e così via.

Per carità, è evidente che lo scopo di un Partito è governare ma è vero che governare vuol dire soltanto gestire le Istituzioni elettive? O è altro?

Io sostengo che è altro perchè altrimenti l’esistenza di un Partito sarebbe soltanto il frutto della necessità di vincere le elezioni.

Il Partito si trasformerebbe quindi nient’altro che in un luogo atto a realizzare le mediazioni che consentano le condizioni migliori per affermarsi.

Ritengo invece che un Partito possa e debba avere un ruolo di governo anche dall’opposizione e soprattutto sono convinto del fatto che la gestione di un Comune, di una Regione o dello Stato non esauriscano le finalità di un Partito.

Facciamo alcuni esempi.

Se c’è una strada sconnessa e da riparare sarà più facile che l’Ente preposto intervenga perchè c’è un attivo movimento che lo richiede e fa vertenza per questo o semplicemente perché quel Comune è così saggio da aver immesso questo intervento nei suoi obiettivi?

E ancora, se una fabbrica licenzia i dipendenti, gli unici coinvolti sono i sindacati, i padroni e a volte qualche Ente locale mediatore o conta anche un sostegno di massa organizzato nel territorio e nelle altre aziende?

Di più, se vi è una riforma della scuola che privatizza o una riforma della sanità che premia il privato rispetto al pubblico vincerà un’idea diversa e cioè quella delle scuola e della sanità pubbliche perchè i sindacati faranno il loro mestiere, perchè i rappresentanti eletti lo chiederanno o perchè ci sarà invece una mobilitazione di migliaia di persone a partire dal territorio per questi obiettivi?

Un partito non è soltanto il luogo delle elezioni e cioè il terreno di formazione di personaggi destinati a governare.

Un partito è elaborazione, confronto, riferimenti di massa, opinioni precise su come lavora il Sindacato, rappresenta la mobilitazione nei quartieri, la lotta per i servizi pubblici, la definizione di sintesi  che consentano di trovare soluzioni innovative e così via.

Un partito è quindi un elemento fondante della società, non un comitato elettorale.

Per questo ha senso che il PD si confronti con la realtà.

Per questo è necessario partecipare alla vita dei partiti.

Un’altra ragione fondamentale è quella che un Partito, ed in questo caso il PD, esprimendo le proprie idee deve usare maggiore radicalità rispetto a chi amministra che oggettivamente produce progetti che sono sempre frutto di mediazioni.

Questa radicalità deve consentire di guardare alla realtà e alle sue espressioni: dev’essere riconoscibile e interpretabile.

Un congresso di Partito è quindi fondamentale perchè definisce le posizioni ed in questo senso è per me particolarmente importante che il 26 febbraio si dia, in libertà, il proprio voto al Congresso del PD quando, naturalmente ci si riconosca nelle sue posizioni anche non essendovi iscritti.

E forse la radicalità diventa questa volta fondamentale perchè l’abbandono di molti al voto è probabilmente anche espressione di un desiderio di chiarezza di posizioni spesso abbandonato.

Maurizio Cecconi
Veneziano, funzionario del PCI per 20 anni tra il 1969 ed il 1990. Assessore al Comune di Venezia per quasi 10 anni è poi divenuto imprenditore della Cultura ed è oggi consulente della Società che ha fondato: Villaggio Globale International. È anche Segretario Generale di Ermitage Italia.

2 COMMENTS

  1. Sono d’accordo: anche secondo me gran parte della crisi del PD va imputata alla sua occupazione delle strutture di governo e sottogoverno. Dico di più: se vuole uscire dalla crisi è indispensabile che faccia uscire i suoi rappresentanti da queste strutture, a tutti i livelli (per esempio da Veritas – potrà così entrare con convinzione nel movimento contro gli inceneritori).

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