La volontà di Mussolini di «tirare diritto» sulla questione della razza, raggiunse la sua piena attuazione con i primi provvedimenti antiebraici. Il loro impatto fu traumatizzante, in quanto colpivano la parte più debole della società ed individuavano nella scuola un settore a suo modo strategico ai fini della discriminazione. I provvedimenti per la difesa della razza adottati il 5 settembre 1938 esclusero le persone di “razza ebraica” dall’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado e, contestualmente, impedirono l’iscrizione di alunni ebrei.  Complessivamente vennero espulsi oltre un centinaio tra direttori didattici e maestri di scuola elementare, 279 tra presidi e professori di scuola media, 96 docenti universitari.

Perché iniziare dalla scuola? Il ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, lo spiegò in maniera cristallina su «Critica Fascista» il 15 settembre 1938. «Nella scuola si forma la personalità dell’uomo, perciò nella scuola si doveva cominciare l’epurazione. Se vogliamo italiani al cento per cento, dobbiamo formarli tali; dunque dobbiamo avere una scuola che sia italiana al cento per cento; quindi tale negli insegnamenti, nei libri, negli scolari. Quindi tale in tutti i suoi gradi. Il problema è integrale, se lo si pone bisogna affrontarlo integralmente. Essa forma gli uomini che la Nazione creano, realizzano, incrementano, tramandano con l’opera con cui impegnano la loro personalità. La Nazione è quale la formano gli uomini, e questi sono quali li forma la scuola».

Alcune autorità scolastiche furono molto zelanti. Già all’inizio del nuovo anno il preside di dell’Istituto Riccati di Treviso, da dove era stato allontanato Alessandro Ottolenghi, chiese ai docenti di tracciare una sintesi sul modo in cui avrebbero affrontato in classe il «problema razziale». Le relazioni che ne derivarono, poi pubblicate in un opuscolo intitolato Per la difesa della razza, dimostrano quanto la scuola fascista fu pronta a recepire i provvedimenti razzisti e ad adeguare i propri programmi alla nuova campagna del regime. Così, ad esempio, un docente di materie letterarie della classe Ia del corso inferiore: «Durante tutto l’anno scolastico coglierò ogni occasione per parlare ai miei allievi sulla difesa della razza e in che cosa consista questa lotta voluta e portata così a fondo dal Governo Fascista. In special modo lo svolgimento del programma di Storia del corrente anno scolastico mi offre opportunità di mettere in chiara evidenza la diversità tra la razza Semitica e Ariana, nei loro caratteri spirituali e somatici. Porrò dinanzi ai loro occhi tutti i pericoli che hanno minacciato e tuttora minacciano la nostra razza; farò loro vedere come la nostra stirpe italica si sia sempre nettamente distinta e sia eccelsa fra le varie razze fra i vari popoli, pure di ceppo ariano per grandezza di tradizioni, di civiltà, cultura, educazione, sensibilità, equilibrio, armonia fisica e morale ecc. e per caratteri somatici. Parlerò pure del massimo dei pericoli per la nostra razza: gli Ebrei e perché oggi si cerchi di segregarli da noi».

E i bambini e i ragazzi esclusi dalla scuola pubblica? Nuto Revelli ha ricordato così l’allontanamento di un suo coetaneo: «Nella mia scuola l’Istituto Tecnico di Cuneo, c’era un solo ebreo, Riccardo Cavaglion, che era un nostro amico. Un giorno si sparge la voce che non sarebbe più potuto venire a scuola perché ebreo. Nessuna reazione. Nessun insegnante che abbia fatto un accenno. Non so neppure come si siano comportati i compagni di classe. Niente, si è voltata pagina. Ho poi saputo che Riccardo Cavaglion aveva ricevuto la solidarietà e lezioni private dal suo insegnante di ragioneria, per poter continuare gli studi privatamente». E negli ultimi anni Liliana Segre ha raccontato più volte quanto accadde a lei: «Io quando furono emanate le leggi razziali ero una bambina e diventai invisibile. E questo effetto durò. Anche dopo la guerra. Ricordo quando a Milano, tra le macerie, incontravo quelle che erano state le mie compagne di scuola che non mi avevano visto più perché ero stata cacciata quando frequentavo la terza elementare. Perché ero stata cacciata? Ero un pericolo così terribile per i fascisti? Per questo decisero che i bambini ebrei di quella piccola comunità degli ebrei italiani che era stata assolutamente integrata nella nazione, dovevano diventare invisibili? Queste compagne, incontrate di nuovo dopo 4-5 anni chiedevano: Segre, ma  dove eri andata a finire»?

I primi provvedimenti antiebraici vennero salutati positivamente dalla stampa che anzi iniziò a sollecitare misure ancora più drastiche. Anche la presenza nel mondo accademico di docenti ebrei era vista come pericolosa in termini di difesa dell’italianità e del regime fascista. Se quindi l’epurazione doveva avvenire sulla base di criteri puramente razziali, il risultato immediato sarebbe stato innanzitutto l’espulsione dall’Università italiana di elementi non solo ritenuti “diversi”, ma potenziali «stranieri interni» e quindi nemici. A dare una prova esplicita di questo collegamento è, nell’ottobre del 1938, Giorgio Almirante: «O la questione razziale, in Italia, vien concepita come un semplice avvicendarsi di posti e di cariche; e allora – pur deplorando nel modo più vivo chi così la concepisce – siamo disposti a comprendere le ansie indicibili di quei poveri Rettori che di punto in bianco son costretti a sostituire 98 (diconsi novantotto) chiarissimi titolari di altrettante cattedre. O si capisce […] che l’impostazione del problema razzista implica il totale risanamento della Nazione dai germi che tentavano corromperla, e allora non ci si dovrebbe avvilire, come italiani, come fascisti e come professori, a chiamar danno – sia pure «passeggero» – quella che è una salutare, una benedetta liberazione». Nello stesso articolo, tra l’altro, il futuro segretario del Movimento Sociale italiano sposava la linea mussoliniana sulle origini del razzismo italiano, rigettando qualsiasi ipotesi d’imitazione da modelli stranieri come un assurdo nel momento in cui era in corso «il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l’Italia abbia mai tentato».

All’allontanamento dei docenti ebrei dal mondo accademico corrispose in molti casi il silenzio dei colleghi se non l’indifferenza. Lo storico Gabriele Turi ha ipotizzato che questa indifferenza sia da ricercare sia in un retroterra dell’antisemitismo italiano molto più profondo di quanto finora la storiografia ha accertato o è stata disponibile a concedere, che nell’elevato grado di fascistizzazione raggiunto dall’università all’altezza del 1938, secondo un percorso che era stato lungo e difficile, ma progressivo. Ma c’è anche chi ha osservato, che mai come in questo caso si può parlare di un «tradimento dei chierici», sia nel prevenire le norme antiebraiche che nel subire in maniera passiva la loro applicazione sistematica.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

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