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Ho più di 60.000 foto sul telefono per l’esattezza 63.487, un’esagerazione se si pensa alla capienza della memoria dei telefoni. Eppure, non riesco a fare a meno di immortalare e di fissare in un’immagine perenne le persone o i momenti importanti e felici della mia vita. Questo suscita l’ilarità dei miei amici e conoscenti che però mi definiscono la memoria storica del gruppo; mentre mio marito sostiene che si debba vivere nel presente e non ancorati troppo al passato. Eppure, il passato determina il nostro presente e fissare in un’immagine ciò che è stato mi aiuta a non perdere di vista ciò che ero e quello che sono diventata ora. Siamo ormai nel 2022, l’era delle foto digitali. Chiunque abbia un telefono, ha una fotocamera a portata di mano; per non parlare dei mille altri dispositivi che permettono di scattare foto, come droni, tablet, GoPro e webcam. Con tutta questa tecnologia a portata di mano, siamo in grado di accumulare molte foto.

Foto scattate annualmente

Poiché mi piace particolarmente fotografare le persone importanti della mia vita, familiari o amici, o i luoghi che visito, vicini o lontani, mi sono chiesta quante altre persone la pensino come me o comunque quante foto vengano scattate all’anno anche per attività lavorative. Il numero farebbe girare la testa a chiunque: 14.600.000.000.000 solo nel 2020, un’enormità difficile addirittura da pronunciare. Un numero destinato a crescere negli anni futuri. Ma dove vanno a finire tutte queste immagini? Molte vengono immagazzinate in memorie esterne, nel cloud o semplicemente sui cellulari, ma prima o poi avremo, o già abbiamo, problemi di conservazione delle immagini, problemi che diventeranno sempre più grandi. Oltre al fatto che i dispositivi per preservarle negli anni cambiano continuamente e davvero si rischia di non poterle più visualizzare. Per questo sarebbe buona abitudine stampare i ricordi più belli e importanti in modo da non rischiare di perderli.

Perché conservare una fotografia

Questo è realmente il mio terrore: sul cellulare (e sul cloud comunque) conservo i momenti salienti della mia esistenza. La laurea, il matrimonio, le mille foto della nascita dei miei due figli, gli amici più cari, le persone che non ci sono più, luoghi meravigliosi della terra, cibo e momenti spensierati che non voglio dimenticare o, per lo meno, ci provo. Fino a un certo momento della mia vita ho stampato qualsiasi cosa, anche le semplici cene con gli amici il sabato sera. Successivamente, con l’avvento degli smartphone, ho perso questa buona abitudine. E pensare che ancora, a volte, prendo in mano gli album e osservo con emozione e nostalgia le vicende e le persone che hanno attraversato il mio cammino o che ancora mi sono accanto. Riguardo gli amici che non ci sono più e ciò mi porta a ricordare le esperienze fatte insieme e l’affetto che mi lega a loro, ovunque siano. Non sono l’unica a pensarla così evidentemente, visto le centinaia di foto pubblicate sui social soprattutto in questo periodo di festa. A volte si scattano foto anche per simulare una felicità che non c’è realmente? Non lo so, può darsi, ma è impagabile potersi riguardare dopo qualche anno pensando: “È vero sono invecchiata, ma quanto mi è piaciuto il mio percorso”.

Fotografi per mestiere e per passione

C’è anche chi fa della fotografia il suo mestiere basti pensare ad alcuni fotografi come: Henri Cartier Bresson, Robert Capa, Oliviero Toscani, Dorothea Lange, Nick Ut e molti altri le cui immagini hanno cambiato il corso della storia.

Robert Capa divenne famoso in tutto il mondo per una foto scattata nel 1936 a Cordova in cui ritrae un soldato dell’esercito repubblicano, con addosso una camicia bianca, ripreso nell’attimo in cui sembra essere colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti. Quest’immagine è tra le più famose fotografie di guerra mai scattate. Fu pubblicata per la prima volta sulla rivista francese Vu il 23 settembre del 1936, poi su Regards il mese dopo. Ma solo quando apparve sulla rivista americana Life (12 luglio 1937), l’immagine si diffuse in tutto il mondo. La foto è stata al centro di una lunga diatriba in merito alla sua presunta non autenticità.

Nick Ut scattò la famosissima foto della bambina vietnamita, Kim Phúc, nuda e ferita che fuggiva dal suo villaggio colpito dalle bombe al Napalm. Questa immagine, oltre ad assicurargli il premio Pulitzer per la fotografia, fece molto scalpore nell’opinione pubblica tanto da aver cambiato le sorti della guerra in Vietnam.

Alcuni scatti di Dorothea Lange, grazie alla frequente pubblicazione dei suoi lavori nelle riviste dell’epoca, diventarono famosi in tutto il mondo. Migrant mother, infatti, fu probabilmente quella che tutt’oggi viene considerata un’icona della storia della fotografia. La protagonista è Florence Leona Christie Thompson, una donna di 32 anni, madre di sette figli, immortalata nei pressi di un campo di piselli in California durante la grande crisi del ’29. La donna divenne il simbolo della grande depressione.

E come non dimenticare tutti i fotoreporter che hanno perso la vita nel passato e in tempi recenti per raccontarci con immagini vivide e toccanti ciò che avviene nei paesi in guerra. Per loro la fotografia non è solo passione, bensì ragione di vita. Vorrei avere la metà del loro talento e del loro estro artistico, ma, per il momento mi accontento di fissare la mia vita in immagini che, sempre riguardandole, mi scalderanno il cuore.

Samuela Piccoli
Nata nel 1973, veronese. Ha lavorato come hostess di terra al Check-in guida turistica al ceck-in dell’aeroporto Catullo di Verona. Ha svolto attività di volontariato in alcune scuole veronesi insegnando italiano a bambini stranieri e presso l’Univalpo (Libera università popolare della Valpolicella) come docente di lingua inglese base. Attualmente lavora presso la Banca Generali e collabora, come pubblicista con il “Basso Veronese”, giornale on line con sede a Legnago. Ha conseguito la laurea Triennale in lingue e culture per l’editoria e la laurea Magistrale in Editoria e Giornalismo

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