Antefatto. Nell’agosto del 2019 Giancarlo Giorgetti, che molti considerano il più intelligente dei leghisti, ospite del meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, se ne usciva con questa affermazione: “Mancheranno 45mila medici di base nei prossimi cinque anni. Ma chi va più dal medico di base? Nel mio piccolo paese vanno ovviamente per fare le ricette mediche, ma quelli che hanno meno di cinquant’anni vanno su internet, si fanno fare le autoprescrizioni su internet, cercano lo specialista. Tutto questo mondo qui, quello del medico di cui ci si fidava anche, è finita anche quella roba lì”. Per la cronaca, eravamo all’indomani del Papeete, il governo Conte I era in agonia e il peggio per la sanità doveva ancora arrivare.

Nei giorni scorsi la 33a indagine sulla qualità della vita del Sole 24 Ore ha certificato quanto già sapevamo e di cui ognuno di noi può rendersi facilmente conto: che nel Veneto in generale, e nella provincia di Treviso in particolare, mancano medici di base.

La Marca è addirittura al 104° posto a livello nazionale su 107 province: abbiamo 0,62 medici di medicina generale ogni mille abitanti. Un dato che peggiora di anno in anno. I numeri non sono migliori per quanto riguarda i medici specialisti: siamo al 102° posto, 21 medici ogni 10mila abitanti.

Questo accade nel mitico Nordest, dove qualcuna racconta che abbiamo la sanità migliore del mondo. Colpa dei pensionamenti, certo. Ma i medici di base non possono andare in pensione? Non si poteva intervenire programmando per tempo la formazione? Perché esistono delle zone carenti, in particolare nella parte sud della provincia di Treviso e nelle aree pedemontane? Perché non viene incentivata la medicina di gruppo? Perché non viene messo a disposizione dei medici del personale amministrativo per sbrigare quelle incombenze burocratiche che occupano l’80% del loro lavoro? Domande senza risposta.

Conclusione? Oggi 703.200 veneti non hanno il medico di famiglia, 110.000 solo nel Trevigiano. Quindi molti devono rivolgersi alla Guardia medica (figura che da marzo è equiparata al medico di base) o addirittura al Pronto Soccorso. Con questa carenza, molti pazienti sono costretti a fare molti chilometri per raggiungere l’ambulatorio. Purtroppo, di fronte a questo scenario da quarto mondo, le soluzioni fin qui proposte sono francamente imbarazzanti.

Un anno fa la Giunta regionale ha alzato il numero massimo di assistiti: ogni medico di base potrà averne fino a 1.800 (non più 1.500); peraltro con un incentivo economico ridicolo e con effetti controproducenti sulla qualità dell’assistenza, aggravando la mole di lavoro di tanti professionisti. Inoltre, in queste settimane è allo studio un piano per poter richiamare in servizio i medici andati in pensione. Ma serve una modifica a livello normativo.

Ultima nota. Questa situazione mortifica e sminuisce il ruolo del medico di base (vedi l’antefatto) e della figura dei sanitari in generale. E contribuisce a rende questa professione non più attrattiva per i giovani. Il Covid, ahinoi, con tutta la retorica sui medici eroi, non ha insegnato nulla: erano solo parole vuote.

Daniele Ceschin
Nato a Pieve di Soligo il 20.12.1971. Storico con un dottorato di Storia sociale europea dal medioevo all’età contemporanea. Docente a contratto di Storia contemporanea dal 2007 al 2011 all’università di Ca’ Foscari di Venezia. Autore di pubblicazioni a carattere storico. E’ stato Vicesindaco a Mogliano Veneto dal 2017 al 2019.

1 COMMENT

  1. Complimenti a Daniele, sempre preciso, puntuale, documentato. Il suo articolo toglie il velo su una situazione tenuta volutamente nascosta (come altre situazioni venete) dalla Regione Veneto che preferisce che i veneti mantengano “e fete de saeame sui oci”

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