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Partiamo dalla banale (?) e misconosciuta Schia dei Veneti, che poi sarebbe il Gamberetto d’acqua dolce il cui nome scientifico fa Palaemonetes antennarius.

A proposito: chi la conosce? E perché proprio da lei?

Semplice: questo gamberetto, in passato frequente fino all’uso alimentare e tipico abitatore dei fossi agrari ricchi di vegetazione acquatica, è oggi scomparso dalla quasi totalità degli stessi fossi.

Il fatto poi che si parta da lei per le brevi considerazioni che seguono, è dovuto al suo rilevante, o meglio fondamentale, ruolo ecologico e a quello di indicatore della qualità chimica delle acque di superficie delle campagne venete di pianura. Se infatti questa specie costituiva un anello importantissimo delle catene alimentari d’ambiente sommerso, la sua sensibilità alla qualità delle acque ne faceva una sorta di “sentinella bio-chimica”, la cui scomparsa indica evidentemente uno stato di degrado grave delle stesse acque.

Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso bastava un passaggio di guadino e le schie venivano catturate a decine. Trovarne qualcuna ora è impresa difficile e questo ci pone un quesito apparentemente banale: quanto vale una schia?

Chi mai ha quantificato il “valore economico ed ecologico” di questa specie, in modo tale da indurre chi avrebbe dovuto occuparsi istituzionalmente della qualità delle acque a farlo?

Nessuno, temiamo e dunque la schia valeva meno di nulla; come tutto il resto, peraltro.

Sì, perché gli indicatori biotici della qualità delle acque dolci erano molteplici. Erano perché sono scomparsi: cancellati dalla devastazione bio-chimica delle acque interne del Veneto di pianura.

Quanto al fatto che oggi, in questa sede, se ne parli, potrà sembrare faccenda da naturalisti, da pseudo-scienziati della domenica. Da “appassionati della natura”, insomma e dunque appannaggio degli scemi con il cappellino da scemi e con il binocolo a tracolla e il taccuino delle osservazioni in tasca che percorrono con passo lento le capezzagne, gli argini e i margini delle siepi di campagna. Correndo peraltro il rischio di essere scacciati in malo modo dai contadini gelosi della propria privacy e mal disposti verso gli estranei che non siano cacciatori o pescatori.

Tornando agli indicatori della nostra salute (che poi è la stessa dell’ambiente), cancellati dal progresso sporco e inquinatore di cui ci siamo fatti dono, vorremmo ricordare i Tritoni. Anfibi dal corpo lacerti forme, questi ultimi; animali che respirano con la pelle e che sono sensibilissimi alla qualità delle acque. In passato frequentissimi nelle scoline della campagna, ora sono introvabili.

Ma anche le tartarughe palustri (Emys orbicularis) che popolavano gli stessi fossi e che ora sono state sostituite dai mostri di origine nordamericana liberati a decine di migliaia in ogni ambiente acquatico urbano o extraurbano. Meno sensibili delle specie precedenti alla qualità delle acque, le tartarughe nostrane sono quasi del tutto scomparse a causa della estrema rarefazione delle loro prede e della concorrenza alimentare delle americane.

Se poi vogliamo prendere in considerazione la Fauna ittica e dunque i pesci, il quadro che si prospetta è a dir poco sconfortante.

Qualcuno ricorda le Alborelle? E brussoete? Anche questi piccoli ciprinidi erano frequentissimi, ma anch’essi erano sensibili alle acque pulite e dunque ora sono pressoché scomparsi dai piccoli corsi d’acqua, sostituite da Pseudorasbora parva, una specie asiatica, cui fanno compagnia il Siluro europeo (Silurus glanis), il Carassio cinese (Carassius auratus) e altre, numerose specie alloctone.

Ora, tutto questo significa semplicemente “disastro ecologico”, che non è dovuto al riscaldamento globale, ma alla nostra scandalosa capacità di non vedere e di non correggere i guasti di cui siamo stati autori. Tutti: cittadini, pescatori, amministratori e grandi uomini politici.

La schia, insomma, non vale proprio nulla, con buona pace del green (ma cosa vorrà mai dire questa parola alloctona) che ci viene propinato, a palate, in ogni pubblicità, in ogni programma politico e in ogni grande consesso internazionale.

Michele Zanetti
Michele Zanetti vive vicino alle sponde del Piave e di acque, terre, esseri viventi si è sempre occupato. Prima come "agente di polizia provinciale" e adesso come naturalista a tutto tondo. È stato il cofondatore di un attivo centro didattico "il Pendolino" , ed è l'autore di una cospicua serie di libri su temi ambientali di cui è anche capace illustratore. ha intrapreso anche la via narrativa in alcune pubblicazioni recenti.

2 COMMENTS

  1. Probabilmente nell’entroterra veneziano questo crostaceo viene chiamato “schia”, ma nel litorale e nelle lagune venete la “schia” è il “gambero grigio di laguna” (nome scientifico “crangon crangon”) che ha una certa somiglianza con il Palaemonetes antennarius in parola. Anche la “schia” veneziana era un tempo considerata un cibo povero, parente del gamberetto rosso, più pregiato (si diceva: in mancansa dei gamberi xe bone anca e schie). Col passare del tempo ci si è accorti (come è avvenuto per molti altri cibi umili) che probabilmente le schie erano superiori ai gamberetti. I buongustai le preferiscono lessate (vanno scottate ancora vive in abbondante acqua salata) e condite con aglio, olio e prezzemolo, accompagnate da una tenera polentina bianca.

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