Quando passavo nella Bottega dell’Altromercato a Mogliano mi piaceva la sua discreta e premurosa presenza. Così alto e così cortesemente curvo verso noi bassetti, mi mostrava le novità e quasi mi sovrastava timido e gentile. Ogni tanto facevamo delle digressioni su come va il mondo e lui sorrideva e annuiva alle mie considerazioni saputelle.

Una brava persona, un volontario, uno di cui conoscevo appena il nome, Paolo, e che identificavo con la Bottega di Piazza Pio X assieme a qualcun altro, Vanessa, Federico, Vittorio e ad altri visi.

L’altro giorno per caso sul quotidiano locale leggo un trafiletto nella cronaca di Mogliano sulla morte di un nostro concittadino. Sobbalzo. È lui. Paolo Puntin. Anni 58 quartiere est, funerale partecipato, un fratello, chiesa di San Carlo. Lo riconosco dalla foto anche se ignoravo il cognome e il simpatico soprannome: Punta. Gli si addiceva.

Qualcosa dentro si muove. Una persona così brava e poi morire così presto, una quasi invisibile cronaca stampata e basta. Non c’è nessun motivo logico ma mi sento in dovere di fare qualcosa. Cerco un’epigrafe e ne trovo una superstite in piazza, rileggo le poche righe. Gli amici! Ecco tramite loro vorrei sapere qualcos’altro di lui, che vita faceva, quanto la malattia l’ha fatto soffrire, magari anche a che cosa pensava durante le cure o prima.

Faccio una cosa che non ho mai fatto. Chiedo a mia moglie di guardare il suo profilo Facebook. È la prima volta che guardo le foto, leggo le parole di una persona che non c’è più. Avevo letto tempo fa una lunga dissertazione sulla vita (ehm) e il destino delle chat delle persone defunte. Ho una sensazione sgradevole di incursione, mi dico che basta solo una foto, bella e migliore di quella del quotidiano.

Ma arriva anche, e ne sono contento un inaspettato Paolo, lo vedo felice, scanzonato e ironico sempre troppo alto con tutti. Trovo la foto, ritaglio lui con gli occhiali. Sorridente.

L’indomani incontro davanti al monumento in piazza proprio Vanessa, indaffarata da due figlie acrobate pericolosamente sul ciglio della strada. Da qualche anno ha trasferito i suoi occhi verdi a Scorzè, le chiedo se mi sa dire qualcosa di Paolo. Allarmata: “Perché, cos’è successo?” Mi rendo conto di aver fatto un bel guaio. Non sapeva niente ed è abbastanza sconvolta. Le dico che mi dispiace di averglielo detto così ma… scuse. Per fortuna le sue bimbe decidono di non farsi travolgere dalle auto della piazza non ancora pedonale.

Chiamo Federico. Lui è tra i fondatori a Mogliano della Bottega nei tempi eroici di quando stavano in un negozietto vicino alla stazione. Era talmente piccolo che per confezionare le ceste natalizie andavano in un deposito della ferrovia lì vicino. Paolo bazzicava da simpatizzante ma dopo un po’ entrò nell’associazione e ne divenne una svettante colonna.

Era in bottega di sabato e là l’avevo conosciuto mentre mi rifornivo di caffè e tè. Federico mi dà il nome giusto “Marco era proprio suo amico, erano sempre insieme” mi passa il numero. Telefono. Cerco di essere naturale, sciolto, no non è un’intervista, solo una chiacchierata…” Sì ma perché?” Già, perché?

Ci troviamo nel suo quartiere che era quello di Paolo. In un bar vicino alla chiesa di San Carlo. Lui arriva con una specie di tuta direttamente dalla fabbrica. Mi vergogno della mia giacchettina da fighetti. Attorno si muovono figure che paiono uscite da un affresco triste di periferia. La signora cinese che ci porta un caffè e un “olzo”, tre sfatti che sembrano da sempre incollati in silenzio su quelle seggiole, un ragazzo neanche tanto giovane che prova senza sguardo tutti i giochi della sala attigua. Marco mi dice che una volta l’Est era un quartiere giovane, vivace, pieno di iniziative. Lui e Paolo andavano all’oratorio lì dietro. C’era una bella atmosfera ed erano quasi diventati gli autisti del parroco Don Claudio e lo scarozzavano in giro con la 500. A ogni cunetta Punta sbatteva la testa sul tettuccio. Ridiamo. Ragioniamo sui volontari. Ragioniamo sul loro ruolo sempre più indispensabile nella nostra società. Silenziosi e insostituibili, proprio come Paolo.

Il giorno dopo telefono a Vittorio, un altro dei fondatori e mi dice che era stato in bottega tante volte di sabato con Paolo, che al funerale c’erano tanti amici, che Punta era proprio un buono in tutti sensi.

Buono.

Ecco forse era la parola che cercavo. La più semplice e la più adatta. Forse l’unica. Una persona buona. Una persona che merita di essere ricordata.

Ciao Punta.

Otello Bison
Otello Bison scrive a tempo pieno dividendosi tra narrativa e divulgazione storica. Collabora al “ILDIARIOONLINE.IT” su temi ambientali e locali.

2 COMMENTS

  1. Il parroco era don Antonio… e mi pare fosse una 127 ma sono psssati tanti anni… prob ricordo male… detto ciò… cuao Punta

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