Chissà perché quando si parla di un cantautore come Alberto Cantone, la prima cosa che mi viene in mente  sono le parole di una delle sue più  belle canzoni, “La pantera”,  e i riferimenti al suo autore, prima che essere  squisitamente politici (come lo sono nel caso della canzone) sono squisitamente etologici, o, per non scadere  in fraintendimenti riconducibili a comportamenti animali, di  stile di vita, perché Cantone proprio, come la pantera del suo brano può essere “avvistato” “tanto a Palermo, quanto in Brianza”, d’altra parte per sua autodefinizione è un  viandante della musica.  Tuttavia, con un po’ di fortuna, si possono fare anche meno chilometri e riuscire a intercettarlo nella sua Treviso, Piazza del Grano o in qualche locale limitrofo, per ripercorrere le tappe di una carriera in cui Alberto ha dimostrato di essere un cantautore di spessore. In grado da un lato di sapere giocare con le modulazioni canoniche, che tra gli altri sicuramente lo legano a De Andrè, Conte e De Gregori. Dall’altro di sapersene distaccare con una giocosità, mista ad un consapevole e allegra guittezza affabulatrice, che trova una sua ulteriore sublimazione, proprio nel momento in cui prende in mano carta, penna e chitarra.

Ciao Alberto, cominciano dall’inizio?

Volentieri – risponde sorridendo- il mio inizio risale all’ estate del 1988, quando, giunto a Napoli da Roma, in una domenica molto afosa, comincio a girare per la città, all’epoca non c’erano né Android, né Google Maps e così finisco, carta delle città alla mano nella zona di Toledo, ma anziché proseguire in direzione P.zza Plebiscito, scelgo quella zona che in omaggio al maestro D’Orta e al suo “Io speriamo che me la cavo” è una delle più sgarrupate della città. Guidato dall’ombra che mi proteggeva dalla calura finisco in un Bar, non meno sgarrupato, che oggi sicuramente non esiste più, perché la zona è stata rimessa a nuovo in occasione dei Mondiali del ‘90. Entro in questo Bar, che era una specie di grotta, al bancone, c’ era un signore dalla pelle scura, che non mi si è filato per niente, salvo offrirmi una birra, unica bevanda a disposizione dei clienti. Comincio ad aggirarmi sorseggiando di tanto in tanto dalla bottiglia e noto sui muri della Cave, molti ritratti  di  marinai americani di colore, in divisa da secondo dopoguerra, che posavano con gli strumenti tipici del Jazz. Guardo l’ultimo ritratto in fondo e mi rendo conto che non solo assomiglia all’uomo al bancone, ma che quell’ uomo è James Senese.

  • So Je, sto sostituendo un amico mio, ca è ito a o ‘ mare!
  • Ah, gli rispondo… E Pino?
  • Si arrepe chilla porta o’ truove a jucà carte!

Incontrare in quel modo così desueto Pino Daniele, che mi chiese se suonassi e alla mia risposta affermativa di mandargli dei provini, dai quali mi giunsero i primi incoraggiamenti (ma all’epoca non avevo ancora ben chiara l’idea se fare o meno il cantautore) mi ha insegnato una cosa molto importante, certe cose, le trovi e magari le scopri solo se vai dalla parte opposta della strada o di un percorso prestabilito.

Ed è da qui che nasce la tua passione per il viaggio.

Si perché la vita è composta di tante cose che si scoprono viaggiando, spesso dal lato sbagliato della strada, se io avessi preso quella dei bei negozi, avrei potuto godere della parte più bella e turistica di Napoli e nulla più. Invece sbagliando ho trovato quello che in fondo desidera ogni viaggiatore un incontro sensazionale. Credo che per farlo sia spesso necessario prendere il lato, se non necessariamente contromano, meno frequentato della strada. Ti permette poi di apprezzare meglio quello “giusto” o semplicemente più frequentato, Via Caracciolo, Mergellina, dove poi sono tornato molte altre volte, mentre quel bar, che come già detto non so neanche se esista più, è un luogo che dentro di me esisterà sempre.

Puro andagismo esistenziale e resistenziale?

Sì abbinandolo al concetto peraltro oggi molto di moda della serendipità, ovvero quel concetto per cui mentre cerchi una cosa, ne incontri un’altra,  che ha un valore decisamente superiore, e anche quando non cerchi nulla, qualcosa comunque incontri.

Cosa che è ovviamente presente nelle tue canzoni?

A volte sì a volte no. Insomma, passo dal pezzo che costruisco più o meno geometricamente a tavolino, a quello che esce nei suoi contenuti al di là o al di qua di quello che volvevo scrivere. Ci sono delle canzoni in cui decidi esattamente quello che vuoi dire, altre meno immediate. Ad esempio, la canzone: “La notte di Hemingway”, tratta dal mio album “Avevo un sogno per cappello”,

L’ho scritta pensando a lui che andava a caccia di notte, in una botte, con gin e tascapane e passava il suo tempo senza prendere nulla, sino a quando una notte   uccide per sbaglio un uccellino e si mette a piangere. È un po’ la sintesi del mito del guerriero che stanco di dovere interpretare l’uomo forte, si identifica con al creatura più debole, che lui stesso ha distrutto. Ho lavorato molto a quella canzone, perché era lagnosa sino a quando non ho trovato il giro di Flamenco, sonoramente riconducibile al mito della corrida e del narcisismo da torero dal quale Hemingway era pur attratto. Il resto l’ho tirato fuori in cinque minuti.

(Hemingway  a Lignano) La notte di Hemingway

Credo sia tutta una questione di chiavi espressive, che vanno lette a fondo, senza prenderle di petto. Ci vogliono talvolta anche quattro o cinque anni, smetti e riprendi, riprendi e smetti, per arrivare a comporre quello che vuoi sul serio, e qui faccio riferimento alla canzone che ho dedicato a George Best.

“Volevo dribblare una stella”, che ho scritto in dieci minuti, è nata dal fatto che, una sera dopo essere stato al mare a fare osservazione astronomica, stavo tornando indietro di notte e, mi sono messo a guardare il tramonto della costellazione dello Scorpione, quasi stavo uscendo fuori dalla carreggiata. “Sono uscito fuori strada, perché stavo guardando una stella…” questa frase ha cominciato a girarmi in testa, dopo lo scampato pericolo e da lì ha preso forma il resto della canzone dedicata a un personaggio sbruffone e beone, che voleva dribblare ogni cosa che nella vita si muovesse. Comprese le stelle.

C’ è un aneddoto tra i tanti su di lui che ti ha aiutato nella composizione?

Sì, quello in cui aveva scommesso di dribblare tutta la squadra avversaria, facendo poi goal con il naso dalla linea di porta. Però ho trasposto questa storia, all’atto del dribblare la stella, per mettere in risalto il fatto – e questa è storia- che lui in campo non ebbe poi il coraggio di fare quella cosa lì, dribbla tutti ma fa goal normalmente. Il pubblico esulta, ma lui va via insoddisfatto. Perché si rende conto di non essere più the best e che non riuscendogli la solita spacconata spettacolare, come invece sino ad allora era stato, deve accettare l’idea di avere perso con se stesso. E quindi il suo declino umano e sportivo. In questo caso il pezzo l’ho scritto in dieci minuti.

(Il Calciatore George Best ) Volevo dribblare una stella

Ti reputi un alchimista delle Canzone?

S, perché lascio che si depositino in fase creativa degli elementi di cui nemmeno io mi rendo conto, se non quando comincio a mescolarli. Altre volte sono un artigiano, che in maniera, diciamo più semplice vuole realizzare quell’oggetto lì. Un po’ l’uno, un po’ l’altro insomma. Io credo che l’alchimia nel mio caso esista, nella capacità, anzi no, nella fortuna di potere spesso beneficiare di quel silenzio interiore che permette di essere un alambicco delle emozioni. Tu metti la tua esperienza dentro questi alambicchi, e se, come faceva dire a Benigni Fellini, ne: “La Voce della luna”, “riesci a fare un po’ di silenzio”, restando in ascolto ricettivo e lasciando che i materiali si depositino lentamente nella nostra anima/ alambicco (dove già c’è la nostra esperienza) l’alchimia si crea da sola.

( Fine Parte 1)

Stefano Stringini
Docente di Lettere presso il Liceo G. Berto di Mogliano. Ha pubblicato alcuni libri di Poesie: “Emermesi” (Pescara, Tracce, 1986), “Breviari, Taccuini e Baedekers” ( Bologna, Andomeda, 1992), “Rimario d’ Oltremura” (Chieti, Noubs, 1997) e vinto qualche Premio, l’ ultimo è stato quello conferitogli dall’ “Istituto Italiano di Cultura di Napoli.” (2019) Ricercatore sonoro (rumori, parole e musica) è istruttore di Hata Yoga e tiene Workshop di scrittura creativa con i Tarocchi.

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